Le relazioni con i “capi” nella Chiesa e nella società

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La meditazione di don Giulio Viviani alla IV Giornata di spiritualità 2020-2021
I CAPI – LE RELAZIONI CON I “CAPI” NELLA CHIESA E NELLA SOCIETÀ CIVILE 
C’è una “spiritualità laica”?

Dal Vangelo di Luca al capitolo 22 (24-32).
E tra gli apostoli nacque anche una discussione: chi di loro fosse da considerare più grande. Gesù disse: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove e io preparo per voi un regno, come il Padre mio l’ha preparato per me, perché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno. E siederete in trono a giudicare le dodici tribù d’Israele. Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli».

 
Quella sera Gesù aveva appena lavato i piedi ai suoi discepoli, all’inizio di quella cena solenne e definitiva. Si è presentato, lui il Signore e il Maestro (Gv 13, 1-20), il “Capo”, come un servo, come lo schiavo addetto con tanto di asciugamano e di catino ricolmo d’acqua ormai sporca. Aveva appena offerto il suo Corpo e il suo Sangue nei segni del pane e del vino, dono totale di sé; aveva aperto il suo cuore con quelle ultime parole, il suo testamento. E intanto i suoi discepoli, accanto al traditore, discutono “chi di loro fosse da considerare più grande”. Questo gli dà occasione di esplicitare ancora di più il suo messaggio.
Gesù riconosce che anche in quel contesto Satana sta operando, sta facendo il suo lavoro con accuratezza. Ma Gesù assicura la sua preghiera per loro, per noi e chiede proprio a Pietro, il “capo”, che cadrà nella trappola, dopo il rinnegamento di convertirsi per confermare i suoi fratelli.
 
Nei Vangeli di Matteo e di Marco Gesù parla esplicitamente di “capi”: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono” (Mc 10, 42), dando però loro una connotazione negativa di dominio e di oppressione. Voi non dovete fare così! Non dovete essere così! Questo l’invito chiaro ed esplicito da parte di colui che ha lavato loro i piedi.
Lo ricorda, a chiare lettere, Papa Francesco nella Lettera Enciclica Fratelli Tutti (03.10.20) al n. 238: Mai Gesù Cristo ha invitato a fomentare la violenza o l’intolleranza. Egli stesso condannava apertamente l’uso della forza per imporsi agli altri: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così» (Mt 20,25-26).
D’altra parte, il Vangelo chiede di perdonare «settanta volte sette» (Mt 18,22) e fa l’esempio del servo spietato, che era stato perdonato ma a sua volta non è stato capace di perdonare gli altri (cfr Mt 18,23-35).
 
Era questa già la storia e l’esperienza del popolo d’Israele. Il loro capo era Dio stesso; egli li guidava con profeti, sacerdoti e giudici; ma per la smania di essere come gli altri popoli avevano voluto anche essi un re.
È stupendo il racconto che ne fa il Primo Libro di Samuele (8, 1-22): “Quando Samuele fu vecchio, stabilì giudici d’Israele i suoi figli. Il primogenito si chiamava Gioele, il secondogenito Abia; erano giudici a Bersabea. I figli di lui però non camminavano sulle sue orme, perché deviavano dietro il guadagno, accettavano regali e stravolgevano il diritto. Si radunarono allora tutti gli anziani d’Israele e vennero da Samuele a Rama. Gli dissero: «Tu ormai sei vecchio e i tuoi figli non camminano sulle tue orme. Stabilisci quindi per noi un re che sia nostro giudice, come avviene per tutti i popoli». Agli occhi di Samuele la proposta dispiacque, perché avevano detto: «Dacci un re che sia nostro giudice». Perciò Samuele pregò il Signore. Il Signore disse a Samuele: «Ascolta la voce del popolo, qualunque cosa ti dicano, perché non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di loro. Come hanno fatto dal giorno in cui li ho fatti salire dall’Egitto fino ad oggi, abbandonando me per seguire altri dèi, così stanno facendo anche a te. Ascolta pure la loro richiesta, però ammoniscili chiaramente e annuncia loro il diritto del re che regnerà su di loro». Samuele riferì tutte le parole del Signore al popolo che gli aveva chiesto un re. Disse: «Questo sarà il diritto del re che regnerà su di voi: prenderà i vostri figli per destinarli ai suoi carri e ai suoi cavalli, li farà correre davanti al suo cocchio, li farà capi di migliaia e capi di cinquantine, li costringerà ad arare i suoi campi, mietere le sue messi e apprestargli armi per le sue battaglie e attrezzature per i suoi carri. Prenderà anche le vostre figlie per farle sue profumiere e cuoche e fornaie. Prenderà pure i vostri campi, le vostre vigne, i vostri oliveti più belli e li darà ai suoi ministri. Sulle vostre sementi e sulle vostre vigne prenderà le decime e le darà ai suoi cortigiani e ai suoi ministri. Vi prenderà i servi e le serve, i vostri armenti migliori e i vostri asini e li adopererà nei suoi lavori. Metterà la decima sulle vostre greggi e voi stessi diventerete suoi servi. Allora griderete a causa del re che avrete voluto eleggere, ma il Signore non vi ascolterà». Il popolo rifiutò di ascoltare la voce di Samuele e disse: «No! Ci sia un re su di noi. Saremo anche noi come tutti i popoli; il nostro re ci farà da giudice, uscirà alla nostra testa e combatterà le nostre battaglie». Samuele ascoltò tutti i discorsi del popolo e li riferì all’orecchio del Signore. Il Signore disse a Samuele: «Ascoltali: lascia regnare un re su di loro». Samuele disse agli Israeliti: «Ciascuno torni alla sua città!»“.
Una descrizione impressionante del rischio che porta con sé il potere se non è ben compreso e ben esercitato come un servizio e non un dispotico e arrogante diritto di comandare e dominare sopra gli altri.
 
Come il profeta Samuele, così Gesù è molto esplicito e concreto. Il potere per lui è sempre rischioso, pericoloso, come abbiamo visto in Matteo e Marco, quando con amarezza proclama: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono”. Così va il mondo!
Altrettanto interessante è l’apologo che si trova nel libro dei Giudici (9, 8-15): Si misero in cammino gli alberi per ungere un re su di essi. Dissero all’ulivo: “Regna su di noi”. Rispose loro l’ulivo: “Rinuncerò al mio olio, grazie al quale si onorano dèi e uomini, e andrò a librarmi sugli alberi?”. Dissero gli alberi al fico: “Vieni tu, regna su di noi”. Rispose loro il fico: “Rinuncerò alla mia dolcezza e al mio frutto squisito, e andrò a librarmi sugli alberi?”. Dissero gli alberi alla vite: “Vieni tu, regna su di noi”. Rispose loro la vite: “Rinuncerò al mio mosto, che allieta dèi e uomini, e andrò a librarmi sugli alberi?”. Dissero tutti gli alberi al rovo: “Vieni tu, regna su di noi”. Rispose il rovo agli alberi: “Se davvero mi ungete re su di voi, venite, rifugiatevi alla mia ombra; se no, esca un fuoco dal rovo e divori i cedri del Libano”.
Il potere, quindi, è sempre pericoloso e porta con sé qualcosa di diabolico, che divide, che separa, che crea confini e muri…
 
Il testo di Luca, a differenza di quelli di Matteo e Marco ci parla di “grandi” invece che di “capi”. Tutti prima o poi siamo dei “grandi” rispetto a qualcun altro, a cominciare dalla … scuola materna! E allora chi è il più grande?
Una domanda che risuona anche nel Vangelo (Mt 18, 1-5; e cfr 5, 19): In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?». Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse:«In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me.
Dobbiamo, quindi, stare attenti perché, quando pensiamo ai “capi”, pensiamo sempre agli altri! In realtà anche noi siamo dei “capi” in qualche momento o situazione di vita: semplicemente in famiglia, a volte nel luogo di lavoro, ma anche nella nostra stessa associazione.
 
Nella nuova edizione del Progetto formativo dell’ACI – Perché sia formato Cristo in voi, parlando dei responsabili (p. 99-100) ci viene detto: Riteniamo importante per il responsabile conoscere e vivere con convinzione l’identità e la proposta dell’AC e impegnarsi perché la sua associazione locale ne rifletta in concreto l’ispirazione; … conoscere il valore di comunione della scelta democratica e aiutare a viverla in modo alto, in tutto il suo significato formativo.
 
Scriveva con puntualità Papa Francesco nella sua Enciclica sulla cura della casa comune Laudato si’ (LS – 24.05.2015) al n. 229: Occorre sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti. Già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato il momento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco. Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi, provoca il sorgere di nuove forme di violenza e crudeltà e impedisce lo sviluppo di una vera cultura della cura dell’ambiente.
 
Mi ricordo sempre quanto diceva Giovanni Paolo I nella sua prima udienza generale (6 settembre 1978) alla quale ero presente da seminarista: Per esser buoni, però, bisogna essere a posto davanti a Dio, davanti al prossimo e davanti a noi stessi. Davanti a Dio, la posizione giusta è quella di Abramo, che ha detto: «Sono soltanto polvere e cenere davanti a te, o Signore». Dobbiamo sentirci piccoli davanti a Dio. Quando io dico: Signore io credo; non mi vergogno di sentirmi come un bambino davanti alla mamma; si crede alla mamma; io credo al Signore, a quello che Egli mi ha rivelato… Ecco i comandamenti. Onora il Padre e la Madre, non uccidere, non arrabbiarti, sii delicato, non dire bugie, non rubare… Se fossimo capaci di osservare i comandamenti, andremmo meglio noi e andrebbe meglio anche il mondo. Poi c’è il prossimo… ma il prossimo è a tre livelli: alcuni sono sopra di noi, alcuni sono al nostro livello, altri sono sotto. Sopra ci sono i nostri genitori. Il catechismo diceva: rispettarli, amarli, obbedirli. Il Papa deve inculcare rispetto ed obbedienza dei figli per i genitori… Mi limito a raccomandare una virtù, tanto cara al Signore: ha detto: imparate da me che sono mite e umile di cuore. Io rischio di dire uno sproposito, ma lo dico: il Signore tanto ama l’umiltà che, a volte, permette dei peccati gravi. Perché? perché quelli che li hanno commessi, questi peccati, dopo, pentiti, restino umili. Non vien voglia di credersi dei mezzi santi, dei mezzi angeli, quando si sa di aver commesso delle mancanze gravi. Il Signore ha tanto raccomandato: siate umili. Anche se avete fatto delle grandi cose, dite: siamo servi inutili. Invece la tendenza, in noi tutti, è piuttosto al contrario: mettersi in mostra. Bassi, bassi: è la virtù cristiana che riguarda noi stessi.
 
A volte, quindi, siamo “capi”, altre volte alla pari e altre ancora dei “sottoposti”; forse proprio quest’ultima esperienza (in certi casi dolorosa e faticosa!) ci può insegnare a come essere veri “capi” quando ci tocca! Io stesso ho sperimentato cosa vuol dire avere un capo che ti fa pagare quello che lui ha subito quando era un “sottoposto” …
La domanda, allora, si fa ancora più stringente: come ci rapportiamo con gli altri (“capi o sottoposti”) nella Chiesa, nella comunità cristiana, nei gruppi di apostolato? Come ci rapportiamo con “i capi o i sottoposti” nella società civile? Quali sono i nostri comportamenti? L’onestà, la lealtà, la sincerità, la corresponsabilità, lo spirito di servizio, la fraterna collaborazione, sono solo belle parole? Papa Francesco si rivolge con forza ai responsabili del bene comune indicando loro alcune piste di cammino (EG 205): Chiedo a Dio che cresca il numero di politici capaci di entrare in un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde e non l’apparenza dei mali del nostro mondo! La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune. Dobbiamo convincerci che la carità «è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici». Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri! È indispensabile che i governanti e il potere finanziario alzino lo sguardo e amplino le loro prospettive, che facciano in modo che ci sia un lavoro degno, istruzione e assistenza sanitaria per tutti i cittadini. E perché non ricorrere a Dio affinché ispiri i loro piani? Sono convinto che a partire da un’apertura alla trascendenza potrebbe formarsi una nuova mentalità politica ed economica che aiuterebbe a superare la dicotomia assoluta tra l’economia e il bene comune sociale.
 
Verso i “capi” noi dobbiamo riconoscere di avere, spesso, degli atteggiamenti non sempre sinceri e autentici. Conoscere, stimare, supportare (non solo sopportare!) chi ha responsabilità è un dovere per il cristiano, per ogni cristiano. E, invece, usiamo sempre un po’ di servilismo, di galanteria per tenerceli buoni! Altre volte riveliamo atteggiamenti di contrapposizione, lontananza, disinteresse, invidia, superficialità… Così anche nella Chiesa verso il parroco, il Vescovo … Oggi, è vero, è ormai giustamente caduta (più per il sacerdote che per il Vescovo) una certa aura di sacralità, di superiorità che dava loro anche un’immunità che ha portato anche a situazioni scandalose e dannose per la comunità cristiana. Qui giocano tanti sentimenti e atteggiamenti anche molto umani e comprensibili. Papa Francesco in LS (196 e 197) offre alcune indicazioni anche per la politica come tale: Qual è il posto della politica? Ricordiamo il principio di sussidiarietà, che conferisce libertà per lo sviluppo delle capacità presenti a tutti i livelli, ma al tempo stesso esige più responsabilità verso il bene comune da parte di chi detiene più potere. È vero che oggi alcuni settori economici esercitano più potere degli Stati stessi. Ma non si può giustificare un’economia senza politica, che sarebbe incapace di propiziare un’altra logica in grado di governare i vari aspetti della crisi attuale. La logica che non lascia spazio a una sincera preoccupazione per l’ambiente è la stessa in cui non trova spazio la preoccupazione per integrare i più fragili, perché «nel vigente modello “di successo” e “privatistico”, non sembra abbia senso investire affinché quelli che rimangono indietro, i deboli o i meno dotati possano farsi strada nella vita». Abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi. Molte volte la stessa politica è responsabile del proprio discredito, a causa della corruzione e della mancanza di buone politiche pubbliche.
 
Una frase molto forte, sulla bocca di Gesù, è anche quella in cui dice amaramente e quasi con ironia: “Si fanno chiamare benefattori”! Una tremenda costatazione che ancora una volta invita noi a fare l’esame di coscienza per essere poi coscienza critica e profetica della società, della Chiesa e del mondo. Il vero unico benefattore – che fa il bene – è Dio. Gesù ha incarnato questo, come ricorda Pietro negli Atti (10, 37-38): Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui.
 
Dobbiamo anche dire che non tutti i “capi” dominano e opprimono, non tutti spadroneggiano; ci sono anche delle persone giuste, oneste, buone e rette, anche oggi. Ci sono esempi virtuosi; noi abbiamo davanti agli occhi la figura del nostro conterraneo Alcide De Gasperi. Per questo parlavo di una spiritualità laica (non laicale che è di tutti i “christifideles laici”), che evita le secche del clericalismo, che lui ha saputo veramente incarnare nella sua attività di cristiano in politica. Si potrebbe parlare semplicemente di “umanità”, di relazioni umane, veramente tali, da uomini. La politica, come la presentava (di solito si dice Paolo VI) Papa Pio XI alla FUCI (18.12.1927): E tale è il campo della politica, che riguarda gli interessi di tutte le società, e che sotto questo riguardo è il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui si potrebbe dire null’altro, all’infuori della religione, essere superiore … Tutti i cristiani sono obbligati ad impegnarsi politicamente. La politica è la forma più alta di carità, seconda sola alla carità religiosa verso Dio.
 
Qual è dunque il nostro rapporto con i “capi” nella politica, nella società, nell’economia, ecc. C’è una simpatia per loro e il loro lavoro? O solo spirito di critica? Penso a quelle persone, le sostengo, le aiuto, le stimo, collaboro con loro; prego per loro?
San Paolo lo chiede esplicitamente (1Tm 2, 1-8): Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità. Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza polemiche.
Questo è uno stile da cristiani per tutte le relazioni ogni giorno, verso i nostri genitori, verso il mio responsabile, il presidente del gruppo parrocchiale, il mio superiore, il datore di lavoro, il sindaco, il presidente della Provincia…. Se ci pensate e facciamo diventare concreto il discorso con nomi e cognomi non è così facile. I nostri sussidi di Ac ci invitano a fare questo esercizio di vera laicità!
 
Scrive con accenti accorati il nostro Vescovo Lauro nella sua Lettera alla comunità 2020 “Noi restiamo vulnerabili”:

Nella tragedia collettiva non possiamo rivendicare diritti quasi fossimo una “categoria”, ma ci è chiesto piuttosto di dare ragione della nostra speranza. Il nostro compito è cogliere i segni della presenza di Dio nelle pieghe dell’umanità sofferente – a partire da quanti hanno pagato le conseguenze più pesanti della malattia e dell’isolamento –, segni di Dio nell’intreccio di tante mani solidali, ma anche nei comportamenti responsabili a cui ciascuno di noi è stato ed è chiamato. Oggi, alla luce del dramma vissuto e non ancora scongiurato, risuona ancor più profetico il sogno di una Chiesa “ospedale da campo” descritta da papa Francesco all’inizio del suo pontificato. Abbiamo però bisogno di scelte concrete: apriamolo davvero questo ospedale, ma non solo per soccorrervi il disagio psicologico, sociale, economico e spirituale, ma soprattutto trasformando le nostre comunità cristiane, grazie allo Spirito Santo, in laboratori di dialogo e di ricerca di senso, attorno alla persona di Gesù di Nazareth. Un ospedale che non solo cura, ma sa fare opera di prevenzione. La sfida che abbiamo davanti è riempire di nuovi contenuti esistenziali il nostro “streaming ecclesiale”. Riconoscere il bene che ci abita. Consapevoli che il bene è bene, non ha bisogno di etichette e di controlli qualità. La Chiesa non è un ente terzo, chiamato a certificare il bene altrui. Anche fuori dalle sue mura, lo Spirito Santo scrive pagine di Pasqua e di liberazione. Per questo rinnovo l’appello accorato ad essere segno e strumento dell’amore di Dio, non rubando la scena al Signore.

Quando leggo i capitoli 6 e 7 degli Atti degli Apostoli che narrano le vicende del protomartire Stefano, mi sorprende sempre il fatto che in tutto quel contesto di persecuzione Stefano è solo! Solo nella sua testimonianza e nel momento estremo della sua passione e morte. Dove sono i Dodici, i capi, che gli hanno imposto le mani? Dov’è la comunità che lo ha presentato e ha pregato per lui? Dove sono i suoi sei colleghi? Stefano mi pare l’icona del cristiano, spesso lasciato solo, non tanto nella sua vita privata, ma nel suo ministero, nel suo impegno ecclesiale. Lasciato solo dal suo Vescovo, dai sacerdoti, dalla sua famiglia, dal gruppo, dalla sua comunità! Un’esperienza che molti di noi abbiamo provato in alcuni momenti della nostra vita. Quando ci è rimasto solo il Signore a cui gridare: “Tu sei il mio rifugio!” (es. Sal 32, 7), come ci fanno esclamare i Salmi. Ma anche noi, ricordiamolo sempre, siamo chiamati a essere i primi a farci prossimo dei nostri fratelli e delle nostre sorelle; siamo chiamati a essere una mano tesa verso di loro, in una fraternità che di questi tempi di individualismo nella società e di nuove modalità pastorali nella Chiesa, ci è sempre più necessaria.
Senza dimenticare che anche i nostri Superiori, i “capi”, nella Chiesa, nella diocesi, nella parrocchia o unità pastorale, spesso sono soli per scelta, per motivi di “carica”, nelle decisioni da prendere e da attuare.
Anche in questo caso: Come stiamo accanto a loro? Cosa ne pensiamo? Preghiamo per loro?

Il Signore si fa accanto a noi come Salvatore, Paraclito (Ad-vocatus), quando, come quel povero uomo malato da trentotto anni, abbiamo il coraggio di riconoscere: “Signore, io non ho nessuno” (Gv 5, 7); non ho nessun altro, se non te, Signore! E ricordiamo che Signore, significa superiore, capo, re, guida, pastore … In molti salmi (ad es. Sal 18, 3.32.47; 42, 10, ecc.), tra l’altro si dice, appunto, al Signore: “Tu sei la mia roccia”. È l’espressione tipica, tradizionale ancora oggi tra i giovani ebrei. “Tu sei la mia roccia” dice l’innamorata al suo innamorato. Come dire, tu sei tutto per me, tu sei la mia sicurezza. Ognuno di noi oggi lo dice, lo ripete, convinto al Signore, come Santo Stefano, sopraffatto e lapidato dalle pietre e aggrappato alla pietra scartata, alla pietra angolare che è il Cristo: tu sei la mia roccia, tu sei tutto per me. Solo Dio basta!

Come le celebri parole di Santa Teresa di Gesù:
Nada te turbe, nada te espante.
Todo se pasa. Dios no se muda.
La paciencia todo lo alcanza.
Quien a Dios tiene, nada le falta:
Solo Dios basta!

Trovo sempre significativa al riguardo anche una semplice ma bella poesia di don Gualtiero Vinotti (1912-1987), sacerdote trentino di Nomi, per lunghi anni direttore dell’Ufficio Catechistico Diocesano di Trento:
Seducimi, Signore, fa’ che mi innamori di te come una donna s’innamora di un uomo;
fa’ che mi innamori di te come i girasoli sono innamorati del sole
e quando cade dietro la montagna richiudono le palpebre pieni di nostalgia
.
Nel romanzo Il Cardinale (da cui fu tratto anche un film famoso negli anni ‘60) si narra cha a un certo punto un imprenditore edile si rivolge al giovane protagonista, un sacerdote confinato in una sperduta parrocchia, dicendogli: Una volta vi credevo ambizioso. Vedo, ora, che lo Spirito Santo ha ridotto in cenere la vostra ambizione. Ma non sapete che un blocco di cenere è il miglior materiale da costruzione? Una materia che è già passata attraverso il fuoco non può più bruciare. I maestri costruttori lo sanno bene.
Quanto vale anche per noi: diventare noi stessi cenere, lasciare che il Signore ci educhi, che lui ci plasmi, che lui ci costruisca, per essere nella comunità, ecclesiale o civile, veri “capi” responsabili e capaci di servizio generoso, onesto, disinteressato e fedele.

don Giulio Viviani,
20 febbraio 2021