La relazione con Gesù

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Dalla 1° Giornata di Spiritualità dell’itinerario per laici 2020/2021 “Tra voi però non è così (Mc 10, 35-45) – La spiritualità del servire nelle relazioni“, condividiamo qualche spunto di riflessione tratto
dalla meditazione proposta dal nostro assistente diocesano don Giulio Viviani.

Dal Vangelo di Marco al capitolo 10 (35-45) Si avvicinarono a Gesù, Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Iniziamo oggi il nostro itinerario delle Giornate di Spiritualità, proposte dall’Ac, che ci porterà a riflettere e confrontarci sulla pagina del Vangelo di Marco al capitolo 10 sul tema del “servire e dare la propria vita” per trovare ispirazione per le nostre scelte, le nostre relazioni con Dio e con gli altri e, dunque, il nostro stile di vita. Vorremmo insieme porre un fondamento spirituale per le nostre relazioni improntate allo stile di Gesù, che è quello del servire e del dare la vita.
Cercheremo di rispondere alla domanda che nasce dalle parole di Gesù: se “tra voi però non è così”, allora com’è?

Iniziamo, quindi, oggi confrontandoci con i due discepoli e apostoli Giacomo (“Dio protegge”) e Giovanni (“Dio fa grazia”).
Qui appare chiaro fin da subito che seguire, seguire Gesù, equivale a servire! Addirittura, significa farsi non solo servi, ma “schiavi di tutti”; una prospettiva non proprio indolore, allettante e facile. Ma questo è già lo stile tipico di tanti papà e mamme, dei nonni e nonne, di tutti coloro che già vivono la loro vita e anche il loro lavoro come un dono per gli altri, come una vera vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo!

Giacomo e Giovanni suo fratello (tranne che in Lc 8, 51 e 9, 28 e poi nell’elenco di At 1, 13 dove si parla di Giovanni e Giacomo). Così anche quando lo si cita con Pietro negli Atti degli Apostoli: Pietro e Giovanni (capitoli 3 e 4).
Come in quella splendida pagina della guarigione dello storpio alla porta Bella del tempio (At 3, 1-10). Giovanni viene sempre dopo, al secondo posto. Probabilmente era il più piccolo, il più giovane tra gli apostoli e questo forse gli garantiva qualche attenzione in più, ma non certo il primo posto. Forse fu proprio lui, il più piccolo del gruppo, a fare la domanda rituale del banchetto pasquale nell’ultima cena: perché facciamo questo? Modello anche per noi del farci piccoli, di stare, se non all’ultimo posto (dove a volte ci lasciano…), almeno al nostro posto, dove chi ci cerca potrà sempre trovarci! Anche noi ci poniamo in ascolto delle parole del Maestro (soprattutto i discorsi dell’ultima cena con il comandamento dell’amore) e capaci di contemplare e imitare i suoi gesti (la lavanda dei piedi e l’istituzione dell’Eucaristia).
I due fratelli erano stati tra i primi chiamati da Gesù come dicono i tre vangeli sinottici (Mt 4, 18-29; Mc 1, 16-20; Lc 5, 1-11).

Seguitemi – Venite dietro a me”. Mi ha colpito anni fa una meditazione tenuta agli esercizi spirituali per noi seminaristi di Trento (fu anche stampata e diffusa) di don Vigilio Covi (il prete del calendario dei “Cinque pani”) su questa paroletta “Seguimi”, ma nel contesto del Vangelo di Giovanni, in quella che si può definire la seconda chiamata di Pietro, quando Gesù per ben due volte gli dice: “Seguimi” (Gv 21, 19.22). Il predicatore scomponeva la parola in tre termini importanti e significativi: Tu – segui – Me! Il “tu” che è ognuno di noi, impegnato e deciso, nella sequela di quel “Me” che è Cristo. Il nostro atteggiamento fondamentale è proprio questo: la sequela. Mi è sembrato poi assai interessante come la traduceva l’allora Mons. Gianfranco Ravasi, nel testo della Via Crucis con il Santo Padre al Colosseo nel venerdì santo del 2007: “Mettiti al mio seguito”. Come dire: vieni dietro a me! Un chiaro imperativo, un comando, un ordine!

Nel nostro contesto, Gesù si era rivolto alle due coppie di fratelli pescatori, invitandoli a seguirlo: “Venite dietro a me!” (Mt 4, 19). Rimaniamo sempre impressionati da questa immediatezza nella sequela, frutto certamente di un’azione che lo Spirito Santo stava svolgendo da tempo nella mente e nel cuore di quelle persone.

Lo avevano seguito attratti dall’invito: “Venite e vedrete”. Non un pastore ma un “agnello”, di per sé, dà inizio al gregge di Cristo. Inoltre, chissà da quanto tempo questi discepoli di Giovanni bazzicavano gli ambienti di Gesù ed erano rimasti affascinati dai suoi gesti, dalle sue parole, dalla sua persona, dalla sua autorevolezza. Quell’andare dietro che nel linguaggio popolare indica proprio l’essere innamorati! Perché Giacomo e Giovanni seguono Gesù? Con quali idee, con quale intento? Quei due erano veramente innamorati di Cristo…

E noi? Qual è la nostra relazione con Gesù, con la sua persona? Quanto tempo gli dedico? Quanto ci penso, quanto ci parlo; quanto ne parlo ogni giorno?

Mettere lui al primo posto è la grande verità anche per ciascuno di noi, discepoli di oggi. Solo se lui è veramente al centro del cuore tutti gli affetti, gli impegni, le risposte divengono veri, autentici, pieni. Credere, allora, non è tanto capire; credere è fondamentalmente seguire! Vorremo fosse vero per noi, ogni giorno, e anche oggi per tanti giovani delle nostre comunità in una sequela pronta e generosa, nelle scelte di vita del matrimonio, della professione e delle più diverse vocazioni ecclesiali, sacerdotali, diaconali, religiose e missionarie.

Come a Matteo, come a Pietro, anche ai due fratelli, Giacomo e Giovanni, è chiesto di seguirlo, di “andare dietro” a Gesù. L’invito è esplicito anche per noi oggi e ogni giorno: torna ad essere mio discepolo, perché hai ancora molto da imparare, da capire, da camminare, da seguire, da avanzare, da amare! Torna ad innamorarti veramente e appassionatamente di me; torna a seguirmi sul serio ricalcando le mie orme, i miei passi.

Ecco cosa vuol dire anche per noi oggi seguire il Signore Gesù: stare con lui, nell’ascolto della sua Parola, nella contemplazione dei suoi gesti di amore, e sentirci mandati a portare il Vangelo. Rimanendo e accettando anche quello che siamo (pur nell’impegno di emendarci): “figli del tuono” o di qualche altro elemento caratteristico. Qui risuona l’invito chiaro, esplicito di Papa Francesco, che definisce così, come abbiamo già meditato, il nostro essere discepoli-missionari nel concreto (non in quella che sogniamo!) della nostra situazione personale, sociale ed ecclesiale.

Dall’Evangelii Gaudium (n.120) In virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario (cfr Mt 28, 19). Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni. La nuova evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati. Questa convinzione si trasforma in un appello diretto ad ogni cristiano, perché nessuno rinunci al proprio impegno di evangelizzazione, dal momento che, se uno ha realmente fatto esperienza dell’amore di Dio che lo salva, non ha bisogno di molto tempo di preparazione per andare ad annunciarlo, non può attendere che gli vengano impartite molte lezioni o lunghe istruzioni. Ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù; non diciamo più che siamo “discepoli” e “missionari”, ma che siamo sempre “discepoli-missionari”.

E noi, che cosa aspettiamo?

Il testo integrale della meditazione