Edith Stein, donna caparbia e di pace

 Questa donna minuta lascia anche a noi, a me, oggi, l’invito a non avere paura di cercare e di affrontare le grandi domande della vita e, in esse, imparare a riconoscere con sincerità le proprie radici, farle valere e vivere per recuperare proprio da loro nuova linfa per il futuro che si apre davanti a noi.

 La cosa che più mi ha colpito nella lettura della biografia di Edith Stein (“Più forti delle armi”, libro presentato su Camminiamo Insieme di gennaio 2020, ndr) è la sua caparbietà: non ha mai mollato. Mai. Nello studio, prima laureata donna in teologia in Germania. Nella scelta di fede, da ebrea non praticante a cattolica fervente dopo un suo personale percorso di studio e riflessione filosofica.

Ha mostrato una inedita perseveranza nel tentare di insegnare e fare ricerca in università, luogo a quel tempo del tutto interdetto alle donne. Un’ammirabile insistenza nel desiderio di mantenere i rapporti con la madre, ebrea e contraria alla sua conversione al cattolicesimo: rapporto che pur nella sofferenza dell’incomprensione Edith ha continuato a coltivare ricevendo, ad un certo punto, anche un cenno di riconciliazione. Caparbia poi nella scelta del Carmelo, la vita di clausura, rinviata temporaneamente per non ferire troppo la madre e allo stesso tempo per rispettare il consiglio delle sue guide spirituali di valorizzare i suoi talenti di filosofa e insegnante. Caparbia nell’ostacolare l’avanzata del nazionalsocialismo, scrivendo addirittura una lettera al Santo Padre, consapevole, forse prima di tanti altri, delle possibili conseguenze dell’ascesa di Hitler al potere. Caparbia infine nel tentativo non riuscito di sfuggire all’avanzata della pulizia etnica prima in Germania, poi in Olanda, consapevole che quando il nemico si presenta in una città è necessario sfuggire in un’altra, parafrasando il Vangelo. Una donna che ha combattuto, sempre e su tutti i fronti della sua esistenza.

Un profilo così mi ricorda uomini in carriera, donne che sono all’apice del successo. Ma Edith è diversa. Ciò che traspare dai racconti di tutti coloro che l’hanno conosciuta nei momenti più diversi della sua vita è la sua pace. La tranquillità. La leggera soavità, mista a profonda consapevolezza di ogni sua azione. La sua serenità anche nei momenti più tragici della fine, nel campo di Westerbork, l’anticamera di Auschwitz.

Che bella una donna così! Che bella un’umanità così. Capace di scelte consapevoli, desiderate, meditate.

Roberta