Dietrich Bonhoeffer, Edith Stein e Jerzy Popieluszko sono i tre ritratti tratteggiati in questo libro di Anselmo Palini [ed AVE, 2016]. Nella loro vita hanno saputo fare della non violenza uno stile e hanno lasciato delle tracce ben più forti delle armi che, in un mondo di totalitarismi e dittature, li hanno uccisi.
Mi fermo in queste righe a tratteggiare la figura di don Jerzy Popieluszko, che non conoscevo e che mi ha incantata, tanto da leggere in un sol fiato le pagine a lui dedicate. Molti di voi ricorderanno il periodo: è vissuto a metà del ’900, in Polonia, accanto a Lech Walesa e ai cittadini privati di diritti e libertà governati dal potere militare. Questo sacerdote si trova catapultato in una avventura che all’inizio sembra più grande di lui. La sua salute incerta lo costringe a un incarico leggero e così gli sono affidati gli studenti e gli operatori sanitari. Già mostra di non risparmiarsi e, anzi, di saper leggere le necessità, di voler entrare nelle dinamiche, di aiutare ad approfondire per formare le coscienze di coloro che a lui, sempre più numerosi, si rivolgono. La casualità di essere libero quando i manifestanti in sciopero chiedono una Messa lo catapulta nel mondo di Solidarnosc: accompagna la nascita del sindacato, è accanto ai lavoratori nelle loro proteste e nelle scelte. È sempre presente in tribunale durante le udienze. Sostiene, rincuora, stimola. Cerca di far emergere l’umanità delle persone che incontra e, per far questo, continuamente ricorda che non è bene ricorrere alla violenza, alla restituzione del male ricevuto. Educa alla responsabilità personale, alla consapevolezza delle proprie azioni. Aiuta le folle che lo ascoltano, perché di folle si parla se si contano le presenze all’appuntamento mensile delle “Messe per la patria”, a prendere forza dall’affidamento al Signore Gesù per poi vivere con coraggio e determinazione. È una fonte di speranza incalcolabile per il popolo che vive oppresso dal regime militare che toglie diritti, libertà e futuro. Don Jerzy fa di questo la missione della sua vita. La salute sempre più cagionevole lo debilita, ma lui non demorde. Il governo lo segue, lo minaccia, subisce alcuni attentati. Gli amici lo proteggono nelle trasferte, nelle conferenze, quando dorme. Ma la sua voce è troppo forte, troppo coraggiosa. Viene rapito, ucciso, gettato nella Vistola. La sua testimonianza però non si è fermata: la chiesa ove è sepolto è rimasta zona franca, luogo dove sindacato, Chiesa, cittadini hanno continuato per lungo tempo a respirare speranza e libertà.