Ciò che inferno non è

«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e fargli spazio» 

Dal brano finale del libro “Le città invisibili” di Italo Calvino prende spunto Alessandro d’Avenia per il titolo del romanzo nel quale racconta l’ultima fase della vita di don Pino Puglisi, sacerdote palermitano ucciso dalla mafia nel giorno del suo 56° compleanno, il 15 settembre 1993. 

Il libro è proposto dal sussidio giovanissimi “Il primo passo, collegato alla tappa 3 “Vedere“.

La continua ricerca di luce e paradiso sulla terra, nel mezzo del quartiere più disperato di Palermo, è quello che caratterizza l’operato tenace ed ostinato di don Pino. Che con fermezza, nonostante i continui ostacoli, chiede a tutte le istituzioni una scuola media per i bambini di Brancaccio (che sarà inaugurata sette anni dopo la sua morte); con dolcezza si prende cura di bambini cresciuti in un contesto di miseria e ignoranza; con sapienza legge nelle pieghe del dolore e della violenza il bisogno di amore. «Amare puoi sempre, questo è il paradiso. Finché non ti viene tolta la capacità di amare, potrai sempre fare qualcosa. L’inferno è perdere anche la libertà di amare».

Il carisma di questo sacerdote, come una calamita, attira anche Federico, uno studente di don Puglisi che si lascia coinvolgere nelle attività a Brancaccio al punto da mettere in discussione la sua vita privilegiata nella Palermo “bene” e rinunciare ad un viaggio-studio all’estero per prendersi cura dei bambini del centro ricreativo Padre Nostro. I bambini, i giovani, sono infatti il chiodo fisso di don Puglisi, che vede in loro l’unica possibilità di salvezza per la società, a patto che si dia loro un’alternativa alla violenza che li circonda.

«Il tempo che resta è colonizzato dai bambini. Il mondo degli adulti prima o poi si spegne, esausto. Loro invece somigliano a germogli di grano che danno spazio alla possibilità di essere un giorno il pane di altri». 

Silvia