Dalla riflessione di don Giulio Viviani alla II Giornata di spiritualità a Nave S. Rocco, sabato 18 novembre
Celebriamo in questo giorno la solennità dell’anniversario della dedicazione della nostra bella chiesa cattedrale di San Vigilio in Trento avvenuta il 18 novembre 1145 per opera del Vescovo Altemanno. Chi passa per la città di Trento, per il suo centro storico non può non notare l’imponenza e la bellezza di quell’edificio, non può ignorarlo! Mi vien voglia di definirlo veramente una “chiesa in uscita”, una chiesa sempre… in piazza!
Quell’edificio, quella costruzione è un simbolo. Noi cristiani, secondo la felice e primitiva intuizione di San Paolo, siamo “il corpo di Cristo che è la Chiesa” (cfr Ef 1, 23) e una Cattedrale ripiena di fedeli ne è la prova,
un’autentica rivelazione e manifestazione. La chiesa edificio è dunque simbolo del popolo di Dio, che, come scrive l’apostolo Pietro nella sua prima lettera (2, 4-10), è costituito da pietre vive. Sulla stessa linea anche San Paolo (Ef 2, 19- 22) che ci invita, inoltre, ad una precisa identificazione tra edificio ed assemblea, tra tempio e popolo di Dio (1Cor 3, 16-17). Tempio, dimora di Dio (cfr anche Gv 14, 18-23), è ogni singolo cristiano, ma anche e soprattutto i cristiani insieme.
Non si guarda certo solo a delle pietre, pur ripulite e splendenti, che ci parlano di una fede tenace e generosa, che ha sfidato i secoli; si riconosce il nostro essere Chiesa, il nostro essere pietre vive, ognuno con una vocazione, un posto e un ruolo nella Chiesa; guai a noi tirarci indietro, toglierci dal nostro posto. Questo significa impoverire la Chiesa, farla crollare. La via maestra sarà quella di rileggere, riscoprire e attuare soprattutto la Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium del Concilio Vaticano II, ricordando sempre che “luce delle genti” non è la Chiesa, ma Cristo! L’invito è per noi, guardando alla nostra Cattedrale, a trovare una modalità concreta per ritrovarsi insieme su quella soglia che è ogni chiesa: luogo del cammino aperto verso Dio e dell’incontro con l’uomo, secondo il nostro specifico compito di credenti, di cristiani, di aderenti all’Ac. Questa è la Chiesa vista come comunità, “comune unità”; essa diventa poi, come approfondiremo nella prossima giornata, comunità dei “discepoli – missionari” (EG 24 e 120), ma insieme.
Papa Francesco ha declinato in particolare per noi di Ac la sua idea di “Chiesa in uscita” nell’Udienza di domenica 30 aprile 2017 e ci ha detto: “In questi centocinquanta anni l’Azione cattolica è sempre stata caratterizzata da un amore grande per Gesù e per la Chiesa. Anche oggi siete chiamati a proseguire la vostra peculiare vocazione mettendovi a servizio delle diocesi, attorno ai Vescovi – sempre – , e nelle parrocchie – sempre -, là dove la Chiesa abita in mezzo alle persone – sempre.
Tutto il Popolo di Dio gode i frutti di questa vostra dedizione, vissuta in armonia tra Chiesa universale e Chiesa particolare. È nella vocazione tipicamente laicale a una santità vissuta nel quotidiano che potete trovare la forza e il coraggio per vivere la fede rimanendo lì dove siete, facendo dell’accoglienza e del dialogo lo stile con cui farvi prossimi gli uni agli altri, sperimentando la bellezza di una responsabilità condivisa”. […]
Il decreto del Concilio Vaticano II Ad Gentes sull’attività missionaria della Chiesa dice (n. 35 e 36): “Essendo la Chiesa tutta missionaria, ed essendo l’opera evangelizzatrice dovere fondamentale del popolo di Dio, il sacro Concilio invita tutti i fedeli ad un profondo rinnovamento interiore, affinché, avendo una viva coscienza della propria responsabilità in ordine alla diffusione del Vangelo, prendano la loro parte nell’opera missionaria”. […]
Questa è la richiesta esplicita che ci viene ora da Papa Francesco, fedele interprete del Concilio Vaticano II: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia.» (EG 27).
Ce lo aveva già detto esplicitamente il Signore il nostro dovere di “andare”, di uscire”; questo è il nostro stile perché è stato il suo, di persona sempre in movimento. Non possiamo dimenticare che lui si è fatto pellegrino dal Padre, uscito dalla Trinità verso di noi, verso l’umanità. Egli è sempre in uscita, “ospite e pellegrino in mezzo a noi” (Messale Italiano, prefazio comune VII). Nei Vangeli, infatti, Gesù è sempre in cammino, ma non è distratto; continua a benedire Dio e la persona umana; va incontro a quanti lo cercano, li accoglie nel suo abbraccio misericordioso e si fa ospitare da loro. Chi sta accanto a lui impara ad uscire; così Maria verso Elisabetta (Lc 1), così i discepoli e gli apostoli inviati a due a due (Lc 10) …. Ma è soprattutto dalla Pasqua che l’invio ad andare e ad uscire si fa pressante, come ci ricorda il Vangelo (Mc 16, 9-20): “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo…”.
La Chiesa in uscita voluta da Papa Francesco siamo noi.
La Chiesa anzitutto come comunità, esperienza di comunione con Dio e tra di noi. Infatti, possiamo essere in uscita solo se siamo insieme, non mai da soli. Il Papa non parla di Cristiano singolo in uscita, ma di Chiesa in uscita. Il nostro Vescovo Lauro ne La vita è bella scrive alla nostra Chiesa di Trento: «Da dove ripartire? Dalla consapevolezza che non ci può essere spazio alla risalita per soggetti “fai da te”. Solo insieme possiamo recuperare l’“humus umano” più autentico».
Continua Papa Francesco delineando la strada di questa Chiesa in viaggio, in uscita (EG 24): «La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano. […]
Ricordate che il catecheta Biemmi illustrando la EG con l’immagine di Papa Francesco diceva: «Una cornice ha quattro lati. Proviamo a rimanere su questa immagine e a individuare i 4 lati di questa cornice apostolica, cioè le coordinate con le quali la “pastoralità” di EG riscrive la visione di Vangelo, di missione, di Chiesa e in fin dei conti di Dio». Il secondo lato della cornice, quello di destra (quello cioè in faccia alla gioia, come sua eco), è la missione. Essa si riassume in una sigla che conosciamo bene: “la Chiesa in uscita”.
La Chiesa esiste per evangelizzare, diceva Evangelii Nutiandi (EN). La condizione indicata da EG è però inedita: la “conversione” in prospettiva missionaria non solo dell’impianto pastorale, ma di tutte le dimensioni della vita della Chiesa… Il nesso tra missione e conversione è esplicito e va considerato il passo in avanti sia rispetto alla prospettiva pastorale del Vaticano II, sia rispetto a EN, che pure costituisce, come abbiamo visto, il riferimento diretto di EG. Questo nesso prende una parola che il sinodo sulla nuova evangelizzazione non aveva osato pronunciare: riforma. La finalità è la missione, la sua condizione è la riforma, interiore e delle istituzioni.
Con la consueta concretezza Papa Francesco lo ribadisce cosa significa il nostro essere “Chiesa in uscita” come il suo Signore Gesù (EG 30): «È la Chiesa incarnata in uno spazio determinato, provvista di tutti i mezzi di salvezza donati da Cristo, però con un volto locale. La sua gioia di comunicare Gesù Cristo si esprime tanto nella sua preoccupazione di annunciarlo in altri luoghi più bisognosi, quanto in una costante uscita verso le periferie del proprio territorio o verso i nuovi ambiti socio-culturali. Si impegna a stare sempre lì dove maggiormente mancano la luce e la vita del Risorto. Affinché questo impulso missionario sia sempre più intenso,
generoso e fecondo, esorto anche ciascuna Chiesa particolare ad entrare in un deciso processo di discernimento, purificazione e riforma».
Per questo ci esorta (EG 49): «Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo. Ripeto qui per tutta la Chiesa ciò che molte volte ho detto ai sacerdoti e laici di Buenos Aires: preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6, 37)».
Leggi la meditazione completa