Ricordati che sei stato straniero anche tu – Vincenzo Passerini

Magazzino 18, di Simone Cristicchi, uno spettacolo teatrale – regalo inatteso – mi ha aperto gli occhi sulla migrazione Giuliano-Dalmata del 1947. Magazzino 18 è il nome del deposito situato nel porto di Trieste che conserva moltissime masserizie abbandonate da un intera generazione di italiani costretti all’esilio.

Uno spettacolo che riprende una vicenda dimenticata, un po’ come le masserizie in quel deposito. Un tema che, con altri protagonisti, è attualissimo, lo percepiamo dalle pagine dei giornali, anche oggi. I migranti sono una categoria sociale ancora presente, anche nel 2016. E se molti dei nostri parenti lo sono stati ieri alcuni dei nostri giovani, oggi, percepisconoono l’idea dell’andare all’estero come frutto della globalizzazione.
Il termine migrante mi pare allontani la concretezza della questione: pone l’attenzione su un altro paese, su altre persone, su fatiche di altri.

RICORDATI-CHE-SEI-STATO-STRANIERO-ANCHE-TU_lineE’ curioso leggere, in uno dei capitoli del libro di Passerini “Ricordati che sei stato straniero anche tu” [ed. Fuorimargine – 2015] il punto di vista dell’italiano migrante. Come dire che anche noi sappiamo cosa significa sentirsi esclusi, avere la sensazione di aver perso tutto, non avere le parole per dire le proprie necessità, per chiedere aiuto.
Anche il cammino associativo di quest’anno, ci introduce, alla realtà di una vita che è viaggio. Perchè allora non raccogliere l’invito a rendere il viaggio di chi è dovuto o ha scelto solo in parte di partire, un po’ più leggero?
I migranti, oggi, come ieri cercano generalmente sicurezza, pace, normalità: vita. Per sé e soprattutto per i loro cari. Lo si scopre quando capita di incontrarne qualcuno che in un italiano, forse stentato ma essenziale ed emozionante, racconta di sé, del viaggio. Di chi ha lasciato. Perchè è partito. Uomini. Donne. Bambini. Esseri umani.
Persone che a prescindere da ogni appartenenza sono detentrici del diritto di essere considerate, prima di tutto, umane. Trattate umanamente. Accolte umanamente.
Certo, le questioni politiche non sono da sminuire e c’è chi ha la responsabilità di lavorare affinchè le loro terre d’origine ritornino accoglienti. Ma non possiamo nasconderci dietro responsabilità che ora non sono nostre.
La mano che abbiamo da giocare noi, ora, è l’altra: quella dell’accoglienza. Forse qualcuno, accanto a noi, ha già provveduto; società, parrocchie, istituzioni in questo momento si fanno in quattro per rendere un po’ più facili le giornate di queste persone.
A noi allora, resterà la possibilità di rendergliele anche un po’ più umane, vivendo nei loro confronti gesti di accoglienza, di gentilezza, di solidarietà.
Per iniziare basterà un sorriso e il buon giorno, poi da parola nascerà parola e si costruiranno diaologhi e si finirà facilmente a chiacchierare insieme in una qualche nuova lingua fatta di parole e di sguardi.
D’altra parte, come ci ricorda Passerini nel suo libro citando S. Paolo, “alcuni, praticando l’ospitalità, hanno accolto degli angeli.”