Pellegrini dai comboniani di Verona

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Sabato 10 giugno una trentina di soci dell’Azione cattolica diocesana ha visitato due luoghi speciali di Verona, per conoscere meglio il senso e lo stile dell’essere missionari oggi.

Al mattino la visita alla basilica romanica di San Zeno, aiutati dalla guida Giulia: i segni dell’arte e della devozione del popolo veronese attorno alla tomba del patrono, evangelizzatore proveniente dalla Mauritania, hanno suscitato il desiderio di contemplare ancora l’opera degli artisti e e di affidare alla preghiera la fede fragile dei cristiani di oggi. La bellezza e il significato teologico delle formelle di marmo della facciata, delle formelle di bronzo del portone, degli altari e degli affreschi, delle statue e dei rocifissi, delle innumerevole Madonne con bambino disseminate sui muri affrescati della basilica hanno affascinato e hanno mostrato come l’arte, la fede e la quotidianità convivono per testimoniare che sul passato e sulla tradizione si fonda una fede che è donata e accolta.
La sosta davanti alla reliquia di San Zeno, al magnifico trittico di Mantegna dell’altare maggiore e ai graffiti dei benedettini che tracciano sugli affreschi gli eventi epocali hanno dato luce al nostro essere pellegrini e viandanti, eredi di una fede incarnata e tramandata, di cui siamo destinatari e portatori agli altri.

Nel primo pomeriggio siamo stati accolti nella Casa Madre delle suore comboniane, congregazione nata 150 anni fa dal desiderio del vescovo missionario Daniele Comboni di portare la Parola di Dio in Africa con la voce delle donne, per “salvare l’Africa con l’Africa”. Nostra guida e testimone è stata suor Esperance, missionaria congolese, infermiera ostetrica e insegnante, prima madre superiora africana dell’ordine. Il racconto della missione e dell’entusiasmo di Daniele Comboni si è intrecciato con la storia della vocazione personale della missionaria, affiancata da due suore anziane ma con la voce dolce e ferma e gli occhi che ancora brillano di gioia e del desiderio di continuare ad andare, ad accogliere, a camminare accanto a tutti.
L’impatto con suor Esperance è stato d’effetto: ci ha accolti con il vestito tradizionale africano, con una stretta di mano e un abbraccio, in semplicità e amicizia; con voce musicale e intensa ha narrato le origini della missione comboniana, il dolore del popolo africano che non conosce giustizia e pace, la necessità per ognuno di noi di avere il cuore aperto e la mente sempre alla ricerca della verità (dentro e oltre l’assuefazione e l’omologazione dei mass media, la corruzione e la falsità delle multinazionali, la connivenza delle ONG e la superficialità delle informazioni che ci arrivano).

La visita al Museo Africano dei Comboniani è stato occasione per conoscere gli usi, le tradizioni, gli strumenti di vita quotidiana, gli strumenti musicali, i tessuti, le sculture e i gioielli dei popoli africani, ma anche stimolo per approfondire la tragedia di villaggi e persone senza patria, cacciati dalle loro case per sfruttare il territorio, le foreste, i minerali, la ricchezza che viene depredata da coloro che ancora oggi agiscono da colonizzatori, con la complicità delle istituzioni nazionali e internazionali.
Ci resterà nel cuore, la testimonianza di suor Esperance e delle sue consorelle italiane; e quando passeremo accanto ad una persona diversa, la guardaremo da fratello, uguale anche se con idee differenti.

Le immagini

Dalla testimonianza di suor Esperance, alla domanda di quale stile dobbiamo avere per essere evangelizzatori nella quotidianità, di getto e in modo molto espressivo la missionaria risponde:
alle persone che incontrate, un semplice saluto e un sorriso cambia tutto. 
Prima la preghiera di avere il cuore aperto, di non avere paura di mettere dentro il gruppo uno che ha anche delle idee diverse, perché volere o no questo terzo millennio ci sta mettendo in mezzo a tante idee. Oggi vogliono formare tutte le persone che pensano alla stessa maniera, che facciano la stessa cosa. Dunque se potete resistere a questo; perché Dio non ha voluto fare delle creature identiche, Dio ci ha voluto diversi e lui si gode della nostra diversità.
E se potete anche cercare alla televisione dei programmi che allargano un po’ la vostra mente, la vostra maniera di pensare, che vi fa entrare il una riflessione molto più critica; trovate questo canali e seguite qualcosa che vi apra la mente per accettare il mondo oggi. Per accettare anche i diversi; … anche un po’ di apertura per sapere il perché. Ma la preghiera è la prima cosa, perché Comboni dice – anche voi avete detto – andate ovunque… con lo stile di Comboni. Crescete in questa opera cattolica, che dà spazio a tutti e a tutte. L’apertura può comprendere anche un po’ di paura dello sconosciuto; se possiamo superarla, adagio adagio perché non possiamo comandare ai sentimenti che portiamo dentro; ma se preghiera, adagio adagio il cambiamento arriva.
Se avete dei figli, avete nipoti, aiutateli: la gioventù è assetata di informazioni giuste e quando parliamo della storia nelle scuole, a tantissime di noi (me inclusa) ci hanno insegnato la storia che ci volevano insegnare, che non è tutta la verità. Adesso tanta verità sta venendo fuori e ci fa entrare un po’ in crisi. Questo lo dobbiamo dire, sì o no? Allora aiutate la gioventù; sono sicura che lo fate, dove siete, a Trento“.

Il racconto pubblicato su Vita Trentina