«Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza». (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, articolo 1)
“Martin Luther King”, scritto da Teresio Bosco nel 1983, è un libro trovato in una bancarella qualche anno fa; l’anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani del prossimo 10 dicembre, oltre al clima spesso infervorato che si respira su questi temi, mi ha incoraggiata a leggerlo per conoscere la storia di quest’uomo, premio Nobel per la Pace nel 1964. È vissuto in America tra il 1929 e il 1968, quando fu ucciso. La sua vita si è svolta per gran parte a sostegno dei diritti dei neri. Ha “combattuto” affinché cadessero le differenze di razza che trasformavano i cittadini neri in persone di serie B, in persone senza diritti, che potevano essere sfruttate, violate; persone che era lecito addirittura non pensare fossero persone. Luther King ha “combattuto” perché questo finisse. Il modo con cui ha portato avanti questa lotta l’ha appreso negli anni di studio, quando ha incrociato la biografia di Gandhi: lo ha studiato, ha approfondito la teoria della non violenza da lui praticata e ne ha fatto la sua dottrina, il suo modus operandi. E così un giovane – e poi un uomo – che esteriormente non sembrava un trascinatore di folle si è ritrovato a guidare la rivoluzione nera. Non tutto, non sempre è andato come lui sognava. Per difficoltà, per disorganizzazione, per ingenuità, per incapacità; anche per la cattiveria dei molti bianchi, che si sentivano defraudati dei loro diritti a pensare di doverli “condividere” con persone di razza diversa, o dei neri che non condividevano il suo stile. Una battaglia non violenta quella che ha guidato dal 1955, iniziata con il caso Rosa Parks per i posti sugli autobus; da allora, subire pestaggi o essere incarcerati è diventato il prezzo da pagare perché fosse chiaro che ciò che stava a cuore non era la salvezza dei singoli, ma il riscatto di un intero popolo e la richiesta era il cambio di mentalità dell’intera nazione. Nel libro più volte si fa riferimento alla paura: proprio questa vuole sconfiggere Martin Luther King, offrendo oltre alla Speranza della giustizia eterna anche la certezza che insieme è possibile trasformare questo mondo, perché diventi più giusto e accogliente per ogni uomo. Il suo discorso, quello che parla del sogno di uguaglianza, in questi 50 anni ha fatto molti passi in avanti. Il lavoro però non è compiuto, l’umanità ha ancora bisogno di uomini e donne che lottino perché la Dichiarazione dei Diritti Umani trovi compimento in ogni angolo della Terra.