L’intervento dell’Arcivescovo Lauro all’Assemblea diocesana Ac

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Intervento dell’Arcivescovo Lauro all’Assemblea diocesana di Azione cattolica,

domenica 29 gennaio 2017

Buongiorno.

È stato bello rivedere i volti storici dell’Azione cattolica… un’altra cosa interessante è che c’è ancora l’Acr (lì è dove lavoravo un po’ di più); ma allo stesso tempo mi è venuto in mente anche qualcuno che se ne è andato… Lì dove si vive una relazione autentica si resiste perfino all’usura del tempo.

Grazie ai delegati; con i vescovi del Triveneto c’è una certa amicizia e anche le diocesi devono imparare a volersi bene e a collaborare… la realtà e i problemi sono così grandi che forse ci costringono a fare l’unica cosa che dovremmo sempre fare: non dobbiamo interagire perché la necessità ce lo impone; cristiani che non vivono la comunione e la collaborazione non sono cristiani autentici.

Una piccola battuta sul termine “Azione Cattolica”. Noi siamo la realtà più piccola del Triveneto, perché abbiamo conosciuto le tempeste degli anni ’70 e nel tentativo di rilancio – ma stiamo parlando degli anni ’90 – c’era chi diceva: “Cambiamo nome”, perché da noi il nome Azione Cattolica richiama il Medioevo. Per cui c’era l’idea di cambiare nome; poi si disse: “Se cambiamo nome, cambiamo tutto”… per fortuna abbiamo abbandonato questa fesseria (pensando che basta cambiare nome o che sia questa la questione). E allora adesso addirittura – così rendo onore alla Cecilia [Niccolini], perché combatteva e diceva “Non cambiate il nome” – queste cose qui le diceva la Cecilia.

E riparto da quella parola: “Azione” e “Cattolica”.

In questi anni Papa Francesco ci ha aiutato a fare una gran cosa: a smetterla di pensare all’esperienza cristiana come adesione a quadri ideologici e a valori e impianti etici. Lui ci ha detto che l’azione cristiana è in primis un farsi prossimo, un agire. Allora meno male che abbiamo conservato la parola “Azione”, che è costitutiva del credente, che si esprime nell’agire; non si esprime nel pensare, nell’elaborare, nel mettere a fuoco impianti etici o impianti ideali: si esprime nel render presente la concretezza del Dio di Gesù Cristo, che è il farsi prossimo.

L’altra parola, “Cattolica”, è una parolona difficile. Ricordo che noi veniamo anche da una situazione di seminario piuttosto rampante nel ’68 e la parola “cattolico” era anche questa una parola retrò. Ebbene, questa parola è bene che sia rimasta. È il costitutivo del credente, aperto a 360°. e questo dovrebbe essere quello che auguro alla Chiesa di Trento. E l’Azione Cattolica potrebbe essere quella che ci aiuta a tenere aperto lo spazio vitale a 360°.
E ce n’è un bisogno enorme in queste ore in cui il nostro “amico” costruisce muri e blocca aerei con i migranti e parla di tortura come valore… e il mondo tace, gli va bene. E devi stare quasi attento a dire che sei contrario, perché è politicamente non corretto questo e ti tirano anche le orecchie se vai avanti un po’ di più… Sono cose inenarrabili.
I muri purtroppo non solo solo al di là dell’oceano; sono anche qua. E non sono solo quelli che magari si comincia a costruire nella nostra Europa dell’Est, ma sono anche i muri del dialogo tra di noi, che a volte è così faticoso. Sono quei muri, divisioni dove non c’è più il respiro della vita.
E adesso non posso lasciarmi scappare l’occasione di uno dei miei chiodi fissi: l’attacco ai social.
Perchè è vero che siamo globalizzati e h24 connessi. Ma in tutto questo mondo qui sembra che noi interagiamo col mondo; in realtà interagiamo con l’uscio di casa o, più drasticamente qualche volta, con la porta della nostra stanza, perché le case sono murate, perfino quelle. Per cui l’apertura non la otteniamo con gli strumenti, la otteniamo quando dentro di te si apre qualcosa.

Allora vengo al tema, bellissimo, che va in controtendenza con il sentire della gente.
In quest’ora “Rallegrati” non è la parola che sembra più corretta da usare, perché è da almeno dieci anni che diciamo “Siamo in crisi”; cioè, noi ci descriviamo in chiave depressa.
I nostri consigli pastorali, forse – adesso io non ho tanta frequentazione ultimamente, come avevo, dell’Azione Cattolica – ma forse anche in qualche consiglio dell’Azione Cattolica va in onda la depressione, la narrazione pesante della vedova di Zarepta di Sidone (“faremo l’ultima focaccia e poi moriremo”), la conta dei numeri – quanti siamo, quanti non siamo… ricordatevi che al censimento tre giorni di lebbra presero, qualcuno nell’Antico Testamento ci ricorda.
Ma io vedo questo come un dramma che si sta consumando nelle stanze della vita civile. Questa depressione fatta sistema, questo malcontento fatto sistema, per cui alla domanda “Come va?” se rispondi “Sto bene” pensano che tu abbia una patologia.
Tra il resto ho scoperto nel mio inglese zero che “What’s up” vuol dire “come va”. L’ho scoperto pochi minuti fa, alle 9 e un quarto alla radio; ho detto: “Questo mi servirà per i miei nuovi attacchi ai social”. Perchè, vedete, in questo mondo dei social che si fregia di titoli relazionali (come va, social, co-housing…) sono titoli che sono la foglia di fico, che nascondono un vivere insieme che invece fa fatica a decollare.

Finito il mio ultimo colpetto ai social, torniamo al tema “Rallegrati”.
Penso che questa è la vocazione della Chiesa, prima che dell’Azione Cattolica. Se mi domandano qual è oggi la chiamata che vien fatta dalla Chiesa: a rallegrarsi. Don Giulio ha letto prima le beatitudini; le beatitudini sono la magna carta di cui oggi ci si riempie la bocca ; e se sono la magna carta vuol dire che attorno al rallegrarsi si struttura la vita del credente.
E quando leggi l’Antico e Nuovo Testamento – soprattutto l’Antico Testamento su questo punto – c’è un aspetto bellissimo: quando tutto va bene (Israele si ingrandisce, è il momento in cui si è floridi) i profeti colpiscono a nastro contro il tempio, contro la deriva del culto, contro questo popolo dalla dura cervice, contro questa gente che aspetta che passi il sabato per vendere il siclo, e avanti… Quando tutto è trionfante, questi legnano.
Quando è devastazione totale, non hanno più niente nell’esilio, i profeti dicono “Il Signore è all’opera, sta rinascendo/c’è qualcosa di nuovo che viene avanti”: danno messaggi di una speranza infinita, con immagini incredibili che sono smentite rispetto a un reale che sembra non accompagnare quelle visioni.
Eco, io mi permetto di fare questa considerazione: in quest’ora della storia, che per certi versi è come l’esilio (sono saltati tempio e coordinate di riferimento, è saltato tutto), qual è la vocazione della Chiesa? Come il profeta nell’esilio: proclamare che la storia è nelle mani di Dio, che nessuno gliela strappa e che questa storia di Dio è più forte degli uomini, delle devastazioni umane, e che c’è un Dio che ha preso per mano la storia. Proprio perché è la sua storia, se ne fa carico e si fa carico di radunare, di riconciliare, ricompattare, rilanciare.
Quindi è l’ora della gioia, è l’ora di proclamare, come la sentinella sul monte, la profezia: mentre tutti gridano “Morte”, noi gridiamo “Vita”. Non perché siamo degli ingenui o degli ottimisti a oltranza, ma perché noi frequentiamo quella novità di vita che si chiama Gesù di Nazareth, che si chiama quel Gesù di Nazareth che è il crocifisso risorto – e il crocifisso vuol dire anche che è il Dio che ha attraversato le stanze del travaglio. E allora la credibilità di questo Dio non sta solo nel fatto che è risorto, ma che è il crocifisso. Che mi permette allora di vincere i miei eventi di morte come il travaglio del parto che va verso un compimento.
Ed è questo l’augurio che vi faccio: siate donne e uomini, ragazzi, giovani, bambini felici. Felici non perché tutto va bene, ma felici perché sedotti da quel volto inedito, da quel Dio capovolto che si chiama Gesù di Nazareth. Che se lo guardi, se gli vai dietro è veramente l’alba nuova che dopo duemila anni è solo all’inizio di essere conosciuta. E l’urgenza della Chiesa in queste ore è conoscere la bellezza di questo Dio.

Ultima provocazione: Papa Francesco.
Una cosa che mi colpisce è che quest’uomo veramente riesce a bucare lo schermo, riesce a farsi ascoltare. Certo, anche ad attaccare; ma questo è un buon segno, nel senso che è proprio perché ha smosso le acque… meno male che c’è l’attacco: vuol dire che sta colpendo giusto, anche Gesù era così.
Attraverso quale via lui ha bucato lo schermo? Attraverso la via ideologica, dei grandi discorsi, dei grandi apparati culturali? Attraverso gesti, scelte, operazioni molto concrete che lo accreditano come il profeta di quest’ora della storia. E allora, per cambiare il mondo non serve molto: basta un pò di Vangelo, un po’ di autenticità, qualche gesto di prossimità e possiamo far volare la storia.

E finisco con Archimede: “Datemi una leva e solleverò il mondo”. Fidatevi per un attimo di Gesù Cristo e potremo gioire e diventare protagonisti.

Grazie