L’esperienza dei Giovanissimi nella Locride

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Quest’estate i nostri animatori ci hanno fatto una proposta: fare un’esperienza di volontariato nella Locride.

Per essere precisi, l’idea è venuta a don Daniel durante la GMG di Cracovia, parlando con alcuni ragazzi di don Pino Puglisi. All’inizio si pensava di andare in Sicilia e visitare i luoghi della sua vita, poi però fare volontariato nei territori confiscati alla mafia in Calabria si è rivelata l’alternativa migliore. Siamo partiti il 20 luglio con un pullman di 56 ragazzi tra i 14 e i 20 anni e animatori di qualche anno in più, provenienti da Rovereto e Volano.

Abbiamo alloggiato per dieci giorni a Roccella Jonica, in una casa dell’oratorio dove ci siamo dovuti adattare a dormire per terra sui nostri materassini, ad avere tre bagni in tutto, a lavare ciascuno il proprio piatto e a lavare anche costumi e vestiti. Eravamo a pochi passi dal mare, pertanto qualche pomeriggio siamo andati a fare una nuotata rinfrescante in quell’acqua trasparente, a riposarci prendendo il sole ma anche a giocare.

Dal lunedì al venerdì di mattina abbiamo lavorato dividendoci in sei gruppi: alcuni hanno fatto compagnia ai disabili dell’Unitalsi che erano lì in vacanza, alloggiati nell’oratorio. Altri hanno lavorato nei campi di un agriturismo o facendo pulizie all’interno della struttura. Un gruppo ha curato il giardino delle suore, strappando erbacce a mani nude, mentre un altro ha collaborato con i gestori di un centro evangelico (una specie di colonia) tagliando verdura per la mensa, pulendo le gabbie degli animali e facendo svariati lavori. Altri ragazzi hanno fatto servizio nella cooperativa “Felici da matti”, creata da un gruppo di amici appartenenti al Rinnovamento dello Spirito su consiglio del vescovo Bregantini con la finalità di creare posti di lavoro anche per malati di mente. La cooperativa ricicla l’olio esausto e ne fa delle saponette aromatizzate al bergamotto, ha un laboratorio per la realizzazione di bomboniere e si occupa dello smistamento di vestiti usati, lavoro in cui alcuni dei nostri hanno aiutato. Un altro gruppo è stato in una casa che ospitava rifugiati politici che avevano ricevuto un “no” e quindi sarebbero finiti sulla strada di lì a poco. I nostri ragazzi hanno cercato di distrarli dalle preoccupazioni facendoli cantare, ballare, giocare a carte e con il pallone, donando loro un po’ di allegria nonostante il clima teso e l’ostacolo della lingua, visto che nessuno dei migranti conosceva l’italiano.

Oltre al lavoro, per alcuni faticoso, per altri ripetitivo e noioso, per altri ancora difficile mentalmente, abbiamo fatto un sacco di cose belle: abbiamo visitato Reggio Calabria e il museo con i famosi bronzi di Riace, il borgo medievale di Gerace con la sua cattedrale, il crocifisso sull’Aspromonte, dove avvenivano gli scambi di persone rapite dalla ’ndrangheta. Abbiamo incontrato il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, noto per la lotta alla mafia, tanto che è sempre accompagnato da una scorta, e suor Carolina, che ha collaborato per qualche anno con don Pino Puglisi a Palermo e adesso gestisce un centro ricreativo per ragazzi il cui padre è spesso in carcere o latitanza. Sono casi delicati e difficili da gestire, ma lei accoglie sempre tutti, mettendo in pratica il motto di don Pino: “Non è la morte che fa la differenza, è la vita, è quello che ci metti!”.

Con noi c’era anche una famiglia roveretana che ha trascorso le proprie ferie a cucinare per noi e portarci in macchina nei rispettivi posti di lavoro. Ogni sera, prima di crollare esausti sui materassini, Bartolomeo, uno dei loro quattro figli, ci raccontava un pezzo della storia di Giuseppe e i suoi fratelli, poi sua sorella Chiara ci leggeva un brano tratto dal libro “Ciò che inferno non è”, scritto da Alessandro D’Avenia. Quest’ultimo alle superiori ha conosciuto don Pino ed è rimasto affascinato da quell’uomo semplice che ha dato la vita per gli altri, si è battuto per far costruire le medie nel quartiere di Brancaccio, uno dei più malfamati di Palermo, e togliere i ragazzi dalla malavita, e davanti al proprio uccisore, col sorriso sulle labbra, ha detto: “Me l’aspettavo”. Infine don Daniel concludeva con un momento di riflessione, fornendoci sempre spunti interessanti.

Un giorno abbiamo trascorso un’intensa mezz’ora in silenzio, a pensare, e la penultima sera in spiaggia, sotto le stelle, il don ha consegnato a ognuno di noi una spiga, che rappresentava i nostri talenti, le doti particolari che ci sono state donate da Dio e che dobbiamo far fruttare. Attaccati alla spiga c’erano due bigliettini: su uno il don aveva scritto una qualità che durante quei giorni aveva visto e che considerava qualcosa di prezioso, l’altro invece era bianco, a noi spetta il compito di trovare un altro talento da offrire al Signore e usare per gli altri.

In Calabria abbiamo avuto l’occasione di entrare in contatto con una realtà che ci sembrava lontana, di conoscere belle persone, ciascuna con la propria storia da raccontare, di metterci in gioco, di scoprire il vero e bello valore del servizio, di fare nuove amicizie talvolta inaspettate e conoscere meglio anche noi stessi. Questa indimenticabile esperienza ci ha insegnato che la consapevolezza è importante e che essere vigliacchi non porta a nulla.

Siamo partiti con tante perplessità e pregiudizi, alla fine saremmo rimasti una settimana in più!

Silvia