“Pacem in terris” – La profezia del Papa San Giovanni XXIII
Nella memoria degli adulti e soprattutto dei nostri “adultissimi” di Ac la figura di Papa Giovanni, il “Papa buono”, ora per tutti San Giovanni XXIII, è un ricordo incancellabile e caro. La sua ultima Lettera enciclica (ne ha scritte 8, tre delle quali dedicate al tema della pace!) porta il titolo famoso di Pacem in terris; tradotto normalmente come la Pace in terra, andrebbe reso più giustamente come la Pace tra i popoli.
Questo documento venne pubblicato il giovedì santo, 11 aprile 1963, un paio di mesi prima della sua morte (3 giugno 1963, domenica di Pentecoste!), quando il Papa era ormai ammalato, colpito da un male incurabile. È quindi considerato anche il suo testamento, le sue ultime parole alla Chiesa e al mondo.
La grande novità di questa lettera è data dai destinatari. Per la prima volta nella storia delle lettere papali essa è indirizzata non solo alla Chiesa, in tutte le sue componenti, ma anche «a tutti gli uomini di buona volontà». Questa stupenda espressione, che, pur errata nella sua traduzione del Gloria secondo le parole del Vangelo di Luca e che verrà purtroppo ora variata nel nuovo Messale, dice un grande rispetto e una grande attenzione per quanto lo Spirito Santo opera nel cuore e nella mente di tante donne e uomini, anche al di fuori della Chiesa. Sarà proprio questo testo di Papa Giovanni a farci da guida nelle Giornate di Spiritualità dell’anno associativo 2019-2020. Giornate aperte a tutti e che quest’anno terremo sempre a Trento, come modalità anche nuova per uno stile di sobrietà e di continuità.
Angelo Giuseppe Roncalli, nato a Sotto il Monte (Bergamo) nel 1881 e diventato Papa il 28 ottobre 1958, ha legato il suo nome soprattutto alla grande intuizione del Concilio Ecumenico Vaticano II da lui indetto il 25 gennaio 1959 e avviato l’11 ottobre 1962. Come era arrivato a questo? Per anni era stato responsabile delle Opere Missionarie in Italia, era poi stato Delegato del Papa in Bulgaria e quindi in Grecia e Turchia e quindi Nunzio a Parigi e Patriarca di Venezia. Un’esperienza molto ricca e varia per il “povero” figlio di contadini della bergamasca, che aveva attraversato ben due guerre mondiali (la prima addirittura come cappellano militare). Lui sì poteva avviare un Concilio; lui che se ne intendeva di società civile, di povertà, di mondo, di pace, di Chiesa, di ecumenismo, di altre religioni,… Non ho conosciuto Papa Giovanni; ero troppo piccolo; ma lo ricordo. Ho avuto la bella testimonianza del cardinale gesuita Roberto Tucci, ai tempi del Concilio nella Sala Stampa, che aveva interrogato il Papa “buono” su quelle difficoltà iniziali dei primi mesi del Concilio. Mi disse che aveva chiesto al Papa se sapeva dove voleva portare la Chiesa. Egli dimostrò di avere le idee ben chiare su dove arrivare, ma ebbe la pazienza di attendere che anche i vescovi di tutto il mondo, piano piano, con fatica, arrivassero a formulare una nuova idea di Chiesa nel mondo. Lo stesso San Giovanni XXIII amava ripetere: cerchiamo quello che unisce più che quello che divide.
Fin dal sottotitolo la Pacem in terris elenca cinque parole che saranno la nostra guida nelle Giornate di Spiritualità: pace, verità, giustizia, amore e libertà. Approfondiremo queste tematiche, aiutati dal testo di Papa Giovanni che scrive in epoca di “guerra fredda” e di tensione e pericolo nucleare (niente di nuovo sotto il sole!), non fermandoci a valutazioni o progetti socio-politici, ma partendo dalla nostra personale consapevolezza di cristiani, chiamati ad essere operatori, artigiani di pace dal profondo del nostro cuore, nelle nostre scelte e nei comportamenti quotidiani.
Lo stesso Papa, offrendoci la pista su cui camminare, scrive (al n. 25): «Quando i rapporti della convivenza si pongono in termini di diritti e di doveri, gli esseri umani si aprono sul mondo dei valori spirituali, e comprendono che cosa sia la verità, la giustizia, l’amore, la libertà; e diventano consapevoli di appartenere a quel mondo. Ma sono pure sulla via che li porta a conoscere meglio il vero Dio, trascendente e personale; e ad assumere il rapporto fra se stessi e Dio a solido fondamento e a criterio supremo della loro vita: di quella che vivono nell’intimità di se stessi e di quella che vivono in relazione con gli altri».
È l’invito che ci viene offerto, con altre parole, dal nostro Vescovo Lauro nella sua Lettera alla Comunità Come goccia (San Vigilio 2019): «Questa condizione di comunità cristiana bisognosa di perdono ci darà la gioia e l’umiltà di incontrare gli uomini e le donne del nostro tempo, riconoscendo il bene che ciascuno porta in sé. E intraprendere così percorsi di dialogo e di collaborazione in vista di ricostruire e condividere una grammatica comune dell’umano. Una Chiesa che non ha paura di porsi, come il suo Signore, in ascolto prima di prendere la parola, non punta a farsi ascoltare ma si lascia inquietare dalle domande. Non consegna parole ma spaccati di vita in cui poter fare esperienza di Gesù di Nazaret. Via obbligata per poter percorrere questo itinerario di profonda conversione è il silenzio orante della preghiera. Personalmente la ritengo la più alta emergenza per la nostra Chiesa».
Cercheremo di rispondere a questa necessità ecclesiale e sociale anche con le nostre Giornate di Spiritualità. Buon cammino.
don Giulio