La nostra vocazione sociale

nostra-vocaz-sociale_medEcco la missione che Dio ci affida! … non basta la vita interiore, bisogna che questa vita si costruisca dei canali esterni destinati a farla circolare nella città dell’uomo. Bisogna trasformarla, la società! [La Pira Giorgio]

Le recenti elezioni europee, il Consiglio di giugno dell’Ac diocesana, il Festival dell’Economia, hanno dato il LA a riflessioni che impongono di allargare sguardi e coniare nuovi paradigmi e per farlo non possiamo lasciarci sfuggire la saggezza di chi ci ha preceduto su questa strada. Il libro di Giorgio La Pira, “La nostra vocazione sociale” a cura di Massimo De Giuseppe, ri-edito da AVE nel 2004 , scritto nel 1945 (!) fa, oggi, al caso nostro.

La Pira (1904-1977), è una personalità di spicco nella storia della politica italiana ed internazionale. Conosciuto soprattutto come sindaco di Firenze, è stato anche fautore di incontri, convegni, colloqui sui temi della pace, della tutela dei diritti, della lotta alla povertà. Ha vissuto il suo impegno politico offrendo, in passato e ancora oggi, un saldo riferimento per chi, impegnato nelle istituzioni, sogna e lavora per un mondo in cui dialogo e pace sono i cardini dello sviluppo dell’individuo e della società che i singoli, insieme, si impegnano a realizzare.

Il libro offre le coordinate proprio per una riflessione sul significato di questo binomio: individuo e società. Sono questi i termini con cui ogni scelta politica si confronta. La Pira, con la pazienza di un padre, prende per mano il lettore e attraverso un articolato percorso di domande e risposte lo conduce a cogliere la “differenza cristiana” per dirla con il Priore di Bose. Una differenza che conduce al “personalismo comunitario” secondo cui la società è il mezzo e la persona il fine: senza imboccare una deviazione individualista e, allo stesso tempo, senza pretendere di risolvere nel sociale ogni aspettativa umana. L’uomo va ben oltre le strutture sociali, l’uomo è ben oltre perché amato e voluto da Dio.

E quindi per fare politica “Bisogna lasciare, – pur restandovi attaccato col fondo dell’anima – l’orto chiuso dell’orazione; bisogna scendere in campo; affinare i propri strumenti di lavoro: riflessione, cultura, parola, lavoro.. altrettanti aratri per arare il campo della nuova fatica, altrettante armi per combattere la nostra battaglia di trasformazione e di amore.”

Non esitiamo: i fratelli, la società ci stanno aspettando!