Farsi carità come il Buon Samaritano

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dalla II Giornata di Spiritualità Farsi carità: la parabola del buon samaritano

Preghiera iniziale: “Cristo, sorgente di carità e forza di comunità” (ispirata da Rom 12)
Mi rendo conto, Signore, che non devo
conformarmi a questo mondo,
ma trasformarmi
con un completo mutamento di mentalità,
per arrivare a desiderare quello che vuoi tu:
ciò che è buono, a te gradito e perfetto.
Per molti che siamo,
siamo un solo corpo in te, o Cristo,
e tu hai assegnato a ciascuno di noi
una funzione diversa nella tua Chiesa.
Singolarmente siamo fatti l’uno per l’altro,
ciascuno con doni diversi,
secondo la grazia che ci hai data.
Chiediamo la saggezza di conoscere i nostri doni,
e di usarli: quando uno è in servizio,
mostragli come essere generoso nel servire;
quando insegna, aiutalo ad insegnare;
se deve incoraggiare altri,
sii tu a ispirargli le parole opportune.
Che sia sincero il mio amore!
Signore, aiutaci ad amarci gli uni gli altri
con l’affetto di fratelli,
gareggiando nello stimarci a vicenda,
mai cedendo alla pigrizia,
nello zelo,
ardenti sempre, invece, del tuo Spirito,
per servire Te, o Signore.
Insegnami ad essere allegro nella fatica,
paziente nella tribolazione,
costante nella preghiera,
pronto alle necessità dei fratelli,
accogliente verso tutti.
Insegnami a benedire chi mi perseguita,
a dirne comunque bene e non male.
Sintonizzami i palpiti dell’anima:
per essere felice con chi è felice,
piangere con chi piange,
e imparare ad armonizzarmi con gli altri.
Signore, ti chiedo la capacità
di non scambiare mai male per bene
e, per quanto dipende da me,
di vivere in pace con tutti.
Che mai io mi vendichi,
ma se il mio nemico ha fame, gli dia da mangiare,
se ha sete, da bere,
senza lasciarmi vincere dal male,
ma vincendo il male col bene. AMEN

Testo biblico: Luca 10,25-37
Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?”. Costui rispose: ” Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso”. Gli disse: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai”.
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: “E chi è mio prossimo?”.
Gesù riprese: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”.
Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?”. Quello rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va’ e anche tu fa’ così”.

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Se osserviamo certe situazioni che ci capitano nella vita, sono simili a quella della parabola. È l’uomo/la donna in difficoltà che ci mette in difficoltà, perché costituisce un caso inedito, non programmato, che disturba l’ordinario modo di vivere e di venire incontro al prossimo… che ci obbliga a scelte alle quali non eravamo preparati e mette a nudo la nostra poca disponibilità, che andava bene fino ad un certo punto, ma che poi si scopre inadeguata.

Il samaritano è l’immagine del cristiano che vuole mettere in pratica ogni giorno quel “Va’ e anche tu fa lo stesso”. Egli è capace di misericordia/compassione, non disdegna di sporcarsi le mani, non passa oltre per paura di contaminarsi, non va per i fatti suoi, s’impiccia dei problemi altrui, non si rifugia nei propri affari privati, non tira dritto per raggiungere il focolare domestico o la solennità della sinagoga o del tempio.

Ne ebbe compassione” è un verbo splendido che spinge a farsi vicino. Ecco il ruolo del cristiano nella vita: farsi vicino, accostarsi a chiunque, qualunque esso sia anche straniero o sconosciuto, perfino nemico, per condividere la sua esperienza dolorosa. Un cristiano che fugge, che si chiude al fratello nel bisogno, che ha paura di perdere di fronte alla gente, se si ferma, se ha misericordia, deve porsi interrogativi seri sulla sua fede.

Possiamo distinguere tre momenti nell’intervento del Samaritano e perciò del nostro “farci carità quotidiana”:

1. L’intervento immediato nel momento del bisogno urgente.
Il Samaritano arriva vicino a quel povero disgraziato mezzo morto, lo sente e lo vede in quelle condizioni e subito agisce: versando olio e vino, fasciandogli le ferite, caricandolo sulla sua cavalcatura per portarlo al sicuro. È il gesto del pronto intervento, dell’aiuto immediato e preciso/adeguato, è il minimo necessario, anche se non è tutto o forse non risolve la situazione.
Molte volte ci troviamo in questa medesima situazione come cristiani: dover intervenire immediatamente per portare il minimo necessario in una situazione di bisogno: dar da mangiare, vestire, fare un po’ di compagnia, prestare ascolto e dire una parola di consolazione e di conforto, sostenere con un po’ di solidarietà in denaro, fare accoglienza in un momento di emergenza, far supplenza… è il mettere in pratica le opere di misericordia corporali e spirituali.
A volte ci fermiamo a questa dimensione della carità, forse la più sbrigativa, la più spicciola, quella che ci coinvolge di meno e che nello stesso tempo dà risposta alla domanda concreta delle persone in difficoltà. Ma c’è un passo avanti che possiamo fare.

2. L’intervento che cerca di risolvere alla radice i problemi, non si ferma al semplice assistenzialismo, ma vuol far guarire la persona e a renderla capace del suo futuro.
Il Samaritano caricò il malcapitato sul suo giumento, lo portò a una locanda, si prese cura di lui, il giorno seguente diede due denari all’albergatore e lo pregò di farsi carico della situazione assicurandogli che tutte le spese gli sarebbero state rifuse al suo ritorno. Sembra un progetto di riabilitazione dell’uomo. Il Samaritano non si accontenta dell’aiuto improvvisato su due piedi, ma va alla ricerca di ciò che quell’uomo esige per ritornare ad essere persona sana, libera e autonoma. Quanta gente possiamo accompagnare verso una riuscita positiva, se veramente ci prendiamo a cuore la loro situazione con generosità, con costanza, con caparbietà, perché il cammino non è facile, avremo da pagare di frequente di persona in tempo, noie, a volte stima, perché ci sporchiamo le mani per i poveri e con loro perdiamo anche la nostra reputazione.
A volte la fatica più grande la troviamo proprio nel convincere le persone a fare passi decisi verso la libertà vera, verso la soluzione della causa dei loro problemi, cominciando dalle persone che ci sono vicine in comunità, a quelle che vivono dove lavoriamo e nella società, a quelle che nascono, vivono e desiderano morire fuori dalla società. Questa seconda dimensione della carità ci fa pagare di persona il prezzo salato di una solidarietà che diventa passione per la donna e l’uomo di oggi.

3. L’intervento perché non avvengano determinate esperienze che compromettono la dignità della persona o determinati incontri/scontri. Anche questa è carità concreta.
Noi siamo facili a piegarci sulle ferite. Meno creativi e meno pensosi siamo nel prevenire determinate situazioni di sofferenza, di perdita di valori della vita, di emarginazione, di povertà e di disgregazione della personalità. Se il Samaritano avesse fatto il viaggio con il giudeo, forse non sarebbe capitata quella disgrazia, l’assalto dei briganti. Camminare insieme, accorgerci di chi è vicino, farsi prossimo, farsi carità quotidiana con le persone, specie quelle a rischio, quelle che vediamo già con un futuro precario/segnato. La compassione del cuore deve andare a pari passo con la compassione del cervello. È necessario quindi prevedere, avere occhi e cuore aperti, vedere le urgenze, intuire i venti contrari in arrivo, “giocare” in anticipo nel sociale.

Coltivare la capacità di discernimento e di conversione che devono caratterizzare l’impegno del cristiano, specie se è impegnato in associazioni o movimenti ecclesiali che hanno come specifico la solidarietà e l’aiuto del prossimo. Di qui anche il rischio e il coraggio di percorrere strade nuove, di intraprendere progetti secondo i tempi, di cambiare, se si vede necessario, di non arroccarsi nel solito sistema che lascia le cose come stanno e che è frutto di rassegnazione. Non scoraggiamoci per le difficoltà, non abbiamo paura del buio che ci sta intorno, non tiriamoci indietro, anche se abbiamo la percezione di camminare nelle tenebre.

Edmund Rostand, poeta e drammaturgo francese

Ho trovato un canto di un cantante francese, Rostand, che dice:

E’ di notte che è più bello attendere la luce
bisogna forzare l’aurora a nascere, credendoci.
Amici, forziamo l’aurora.
E’ l’unica violenza che ci è consentita!

Farsi carità quotidiana! Questa espressione richiede che ci lasciamo lavorare dal Vangelo e dalla Grazia del Signore tanto da diventare con la vita promotori di carità… richiede un profondo e costante rapporto di amore e di accoglienza di Dio-amore nella nostra vita.

La carità è l’unico segno di identità di chi ha scelto di seguire Cristo, di fronte ai pagani, ai non credenti, agli indifferenti, a chi è incerto e dubbioso nella sua fede. Perciò la carità non può essere saltuaria, occasionale, una tantum, ma richiede di essere vissuta ogni giorno come scelta fondamentale della vita, come stile di vita feriale, deve diventare carne nella nostra carne, tanto da avere come ideale le parole di Gesù: “Filippo, chi vede me, vede il Padre”, chi vede un cristiano che ama, vede Cristo stesso e vede Dio.

Preghiera finale (di don Roberto Laurita)
Difficile, Gesù, far cambiare idea a chi considera suo prossimo solo il familiare, il parente, il compaesano
ed esclude senza alcun problema lo straniero, l’antipatico, lo sconosciuto.
Eppure tu non rinunci a provarci, con una di quelle tue parabole che sono un prodigio di saggezza, ma anche di astuzia.
Sì, tu lo fai apposta: tu metti sul ciglio della strada un poveraccio bisognoso di aiuto,
uno che andrebbe incontro ad una morte sicura se nessuno lo soccorresse.
E fai passare davanti a lui personaggi importanti e stimati della società ebraica dell’epoca,
gente che svolge il suo servizio nel luogo più sacro, il Tempio, a diretto contatto con Dio.
Tirano diritto, senza tanti scrupoli, perché hanno cose più importanti da fare e non vogliono correre rischi.
Poi arriva un samaritano, un eretico, un nemico dal momento che la sua gente non manca di compiere ostilità contro gli ebrei.
E proprio lui, invece, si ferma, offre le proprie cure, trasporta in una locanda e mette mano al portafoglio.
A denti stretti il dottore della Legge deve riconoscere che è il samaritano che ha fatto da prossimo al poveraccio.