AZIONE CATTOLICA – Giornate di spiritualità – 2017/2018
VIVERE IL VANGELO OGGI: 5. Evangelizzatori con Spirito
Riva del Garda, sabato 21 aprile 2018 – Proposta di riflessione di don Giulio Viviani
Siamo nel tempo pasquale, memoria ed esperienza del grande dono di Gesù risorto: lo Spirito Santo, lo Spirito della Vita e dell’Amore che Gesù ha effuso dall’alto della Croce, quando emise lo Spirito (Mt 27, 50), che ha offerto la sera di Pasqua nel Cenacolo (Gv 20, 22) e che ha donato con abbondanza alla Chiesa nella Pentecoste (At 2). L’esperienza quotidiana ci mette davanti continuamente la nostra debolezza, le nostre mancanze, i nostri fallimenti. Dalle cose più semplici, come il dimenticare qualcosa, alle colpe più gravi nel trattare male le persone o compiere gesti negativi e offensivi verso gli altri. In quei momenti come cristiani pensiamo poco allo Spirito Santo. Eppure è proprio in quelle occasioni che dovremo imparare ad invocarlo, a chiedere il suo aiuto, la sua assistenza, la sua opera. Egli, infatti, è colui che è destinato dal Padre e dal Figlio a starci vicino, ad assisterci, a sostenerci nel cammino della vita. San Paolo (Rm 8, 26) ci dice che “lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza”. Viene in aiuto di un’umanità che attende, che cerca, che spera: una creazione che vive le doglie del parto, che faticosamente si compie nell’esperienza quotidiana di “produrre”, di generare il bene. Egli solo ci rende sempre e di nuovo evangelizzatori con Spirito!
Anche in questa giornata di spiritualità contempliamo ancora i mosaici della cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico Vaticano e ci fermiamo alla scena della Pentecoste. Padre Marko Ivan Rupnik, gesuita, ha illustrato nella parete di sinistra, rispetto alla rappresentazione centrale della Gerusalemme del Cielo, la dinamica della “divinizzazione” o santificazione o “spiritualizzazione” dell’uomo, chiamato ad essere con la sua vita “evangelizzatore con Spirito”. Se da una parte si trova la discesa di Dio, che, fatto uomo, entra nel Tempio e vi esce per stare nel tempio del mondo e della storia, da quest’altra c’è la salita dell’uomo, la divinizzazione, il ritorno dell’uomo a Dio Padre. Scrive il Vescovo Lauro: «Gesù non abita il tempio, si pone sul sagrato. È il “Figlio dell’Uomo”. “Gesù ci ha salvati morendo in croce ‘per noi’, in perfetta continuità con il suo essere ‘vissuto per noi’ in terra, continua a salvarci con il suo essere per sempre ‘per noi’ presso il Padre e, con il dono del suo Spirito, è costantemente ‘per noi’ nel cuore degli uomini di ogni tempo e luogo che con fede lo accolgono”» (La vita è bella, p. 10).
Come sale l’uomo a Dio? L’uomo torna a Dio nel Figlio. Perciò la scena centrale è l’Ascensione; questa scena è unita alla Pentecoste. Si tratta di due scene che di solito non si trovano rappresentate insieme. Cristo deve salire al Padre perché lo Spirito scenda. Il Padre rimane sempre nascosto. Noi conosciamo Dio tramite la sua mano, la sua opera nella creazione e nella redenzione e vediamo il Figlio che già tocca il Paradiso, la dimora del Padre, con le ferite ben evidenziate perché porta con sé l’umano: la realtà più umana sul corpo di Cristo sono le sue ferite.
Sotto c’è la Madre, la Vergine donna, dove tutto questo mistero si è comunicato e rivelato. Lei è in atteggiamento orante, dunque immagine della Chiesa in epiclesi. Cristo sale al Padre e lascia sulla terra un lembo di Paradiso: la Vergine Madre Chiesa in epiclesi per la discesa dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo scende come un fuoco e crea la comunità, che è il grande miracolo della storia umana. Questa comunità ha nel suo cuore Cristo che torna al Padre. Se viene meno Cristo nel cuore della Chiesa, non ha più senso questa struttura, che si svuota e perde significato. È una scena che presenta un grande disegno ecclesiologico: ogni apostolo ha il vestito di un colore che non si ripete mai e un mantello che invece è simile al mantello di Cristo e che portano uguale tutti gli apostoli. Infatti, ognuno di noi è figlio nello Spirito che ci rende figli dal di dentro in modo del tutto personale, ma siamo figli nel Figlio. Lo Spirito Santo garantisce la pluralità della figliolanza e il Figlio, Cristo, è garante dell’unità della figliolanza. Fuoco, colomba, vento non sono immagini personali dello Spirito Santo, ma lo Spirito Santo è una Persona divina. Già gli antichi Padri chiedevano quale fosse il volto dello Spirito Santo, e Atanasio rispondeva che il Volto dello Spirito Santo è il Figlio. Solo nello Spirito Santo si può dire che Gesù Cristo è Signore. Pietro e Paolo guardano di fronte a loro, nello spazio fuori dalla parete, nel luogo dove la Chiesa viva celebra la liturgia, il volto dello Spirito Santo nella nostra storia oggi.
Tutta la parete è pensata intorno al versetto in cui Isaia dice che la pioggia scende e torna al cielo solo dopo aver fecondato la terra e averla fatta fruttificare. C’è un movimento di discesa e ascesa, di venuta e di ritorno. Sulla parete, verso destra, vediamo che la fiamma che scende dal Padre arriva fino in fondo, penetrando le pietre e ritornando a Dio in un vortice e troviamo una serie di personaggi che vivono il loro essere realmente evangelizzatori con Spirito:
- nell’amore coniugale; come simbolo di questo ci sono Gioacchino ed Anna, i genitori di Maria. Anna in un passo quasi di danza muove l’uomo verso Dio;
- nell’amore fraterno: il buon samaritano. Chi soccorre e chi è soccorso hanno praticamente lo stesso volto e una sola aureola. Cristo è il buon samaritano che è venuto a curarci; dobbiamo lasciarci curare e amare da lui prima di amare. Ma anche il destinatario: “Qualsiasi cosa farete a uno dei più piccoli la farete a me” (Mt 25);
- nell’amore fino al martirio: San Paolo lo rappresenta; lo Spirito Santo scende come gocce da un cuore, gocce di sangue, e ritorna a Dio come martirio. Edith Stein (Santa Teresa Benedetta della Croce), monaca: lo Spirito Santo scende unendosi alla fiamma del roveto ardente, simbolo del monachesimo e della tradizione ebraica;
- nell’amore del discepolo: Cristo chiede a Pietro: Mi ami tu più degli altri? L’apostolo Bartolomeo indica con la mano sinistra il martirio di San Paolo, come a voler dire: Come puoi chiedere se ti ama più degli altri, dal momento che tutti moriremo martiri, daremo la vita per te? Il di più non sta tanto nel gesto eroico, ma nella vocazione, che è l’amore ed è sempre personale;
- nell’amore dei gesti semplici ma ricchi di fede: come quelli delle donne davanti alla tomba vuota: le mirofore.
Siamo allora alla IV cornice del quadro di riferimento della Chiesa di oggi che EG ci offre; dopo la gioia, la missione e la storia, eccoci al vertice: lo Spirito Santo. In questa V tappa del nostro itinerario in riferimento alla EG di Papa Francesco il capitolo V ci presenta esplicitamente il nostro tema. Leggiamo insieme il testo: “259. Evangelizzatori con Spirito vuol dire evangelizzatori che si aprono senza paura all’azione dello Spirito Santo. A Pentecoste, lo Spirito fa uscire gli Apostoli da se stessi e li trasforma in annunciatori delle grandezze di Dio, che ciascuno incomincia a comprendere nella propria lingua. Lo Spirito Santo, inoltre, infonde la forza per annunciare la novità del Vangelo con audacia (parresia), a voce alta e in ogni tempo e luogo, anche controcorrente. Invochiamolo oggi, ben fondati sulla preghiera, senza la quale ogni azione corre il rischio di rimanere vuota e l’annuncio alla fine è privo di anima. Gesù vuole evangelizzatori che annuncino la Buona Notizia non solo con le parole, ma soprattutto con una vita trasfigurata dalla presenza di Dio.
- In quest’ultimo capitolo non offrirò una sintesi della spiritualità cristiana… Semplicemente proporrò alcune riflessioni circa lo spirito della nuova evangelizzazione.
- Quando si afferma che qualcosa ha “spirito”, questo indica di solito qualche movente interiore che dà impulso, motiva, incoraggia e dà senso all’azione personale e comunitaria. Un’evangelizzazione con spirito è molto diversa da un insieme di compiti vissuti come un pesante obbligo che semplicemente si tollera, o si sopporta come qualcosa che contraddice le proprie inclinazioni e i propri desideri. Come vorrei trovare le parole per incoraggiare una stagione evangelizzatrice più fervorosa, gioiosa, generosa, audace, piena d’amore fino in fondo e di vita contagiosa! Ma so che nessuna motivazione sarà sufficiente se non arde nei cuori il fuoco dello Spirito. In definitiva, un’evangelizzazione con spirito è un’evangelizzazione con Spirito Santo, dal momento che egli è l’anima della Chiesa evangelizzatrice…
- Evangelizzatori con Spirito significa evangelizzatori che pregano e lavorano. Dal punto di vista dell’evangelizzazione, non servono né le proposte mistiche senza un forte impegno sociale e missionario, né i discorsi e le prassi sociali e pastorali senza una spiritualità che trasformi il cuore. Tali proposte parziali e disgreganti raggiungono solo piccoli gruppi e non hanno una forza di ampia penetrazione, perché mutilano il Vangelo. Occorre sempre coltivare uno spazio interiore che conferisca senso cristiano all’impegno e all’attività. Senza momenti prolungati di adorazione, di incontro orante con la Parola, di dialogo sincero con il Signore, facilmente i compiti si svuotano di significato, ci indeboliamo per la stanchezza e le difficoltà, e il fervore si spegne. La Chiesa non può fare a meno del polmone della preghiera, e mi rallegra immensamente che si moltiplichino in tutte le istituzioni ecclesiali i gruppi di preghiera, di intercessione, di lettura orante della Parola, le adorazioni perpetue dell’Eucaristia. Nello stesso tempo «si deve respingere la tentazione di una spiritualità intimistica e individualistica, che mal si comporrebbe con le esigenze della carità, oltre che con la logica dell’Incarnazione».C’è il rischio che alcuni momenti di preghiera diventino una scusa per evitare di donare la vita nella missione, perché la privatizzazione dello stile di vita può condurre i cristiani a rifugiarsi in qualche falsa spiritualità.
- È salutare ricordarsi dei primi cristiani e di tanti fratelli lungo la storia che furono pieni di gioia, ricolmi di coraggio, instancabili nell’annuncio e capaci di una grande resistenza attiva. Vi è chi si consola dicendo che oggi è più difficile; tuttavia dobbiamo riconoscere che il contesto dell’Impero romano non era favorevole all’annuncio del Vangelo, né alla lotta per la giustizia, né alla difesa della dignità umana. In ogni momento della storia è presente la debolezza umana, la malsana ricerca di sé, l’egoismo comodo e, in definitiva, la concupiscenza che ci minaccia tutti. Tale realtà è sempre presente, sotto l’una o l’altra veste; deriva dal limite umano più che dalle circostanze. Dunque, non diciamo che oggi è più difficile; è diverso. Impariamo piuttosto dai santi che ci hanno preceduto ed hanno affrontato le difficoltà proprie della loro epoca”.
Dello Spirito Santo abbiamo, dunque, estremo bisogno; non possiamo mai farne a meno. La Chiesa, la comunità cristiana esiste solo nello Spirito Santo. È il dono grande di Dio alla Chiesa e all’umanità: lui che è Signore (Dio) e dà la vita (vivificante), come diciamo nel Credo. Gli apostoli, Maria e Gesù stesso hanno fatto esperienza della sua presenza e della sua azione che anima e trasfigura, che conforta e dà gioia, che sostiene e manda. Così lo Spirito Santo, ci rende evangelizzatori, ma appunto con Spirito! Qualche volta non lasciamo operare lo Spirito Santo; il rischio è sempre grande: metterci noi al suo posto!
Il documento degli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020 Educare alla vita buona del Vangelo, richiama insistentemente il nostro dovere di testimonianza della verità di Cristo e del suo Vangelo, in quanto adulti nella fede, verso gli altri e soprattutto verso le nuove generazioni, sia nella comunità cristiana che nel più vasto ambito della nostra cultura e società. Si tratta di una dimensione costitutiva anche della responsabilità che abbiamo come AC, come comunità cristiana nel mondo e nell’odierna società, per rispondere all’invito di Gesù a far sgorgare con la forza dello Spirito Santo “fiumi di acqua viva” (Gv 7, 38) in un mondo spesso assetato e in ricerca di verità, di bene e di bellezza.
Qui emerge il ruolo delle persone credenti, dell’intera comunità e della nostra identità di uomini e donne di Ac nel manifestare la presenza di Gesù, nel non impedire e quindi nel favorire l’accesso a Gesù. È anche il nostro compito, sostenuti dallo Spirito Santo, quello di annunciare che Gesù è in mezzo a noi, con le parole e con la vita, a quanti stanno “mendicando” una parola di verità, un gesto di carità, una risposta alle loro attese e alla loro ricerca. Domandiamoci anche quante volte diventiamo invece un ostacolo (la parola greca, un po’ forte ma chiara, sarebbe “scandalo”!), perché le persone possano riconoscere e incontrare Cristo, soprattutto per la responsabilità che abbiamo verso i più “piccoli”, gli inferiori, i deboli, gli infermi nella fede, che guardano a noi con comprensibili aspettative. Guai a noi impedire agli altri di vedere, di riconoscere e di incontrare Gesù. Anzi compito nostro, personale, di AC, e di tutta la comunità parrocchiale, della Chiesa intera è quello di favorire l’incontro con Gesù. Ricordiamo anche quei tali che calarono il paralitico giù dal tetto. San Luca dice esplicitamente che, in quel caso, Gesù vista la loro fede, grazie alla loro fede e alla loro opera, compì il miracolo (5, 17-26). Evangelizzatori quindi con lo “Spirito del bene” e non con lo “spirito del male”!
Il prossimo Santo, il Papa Paolo VI nella Evangelii Nuntiandi (08.12.1975), testo di riferimento per Papa Francesco, scriveva (n. 75): “L’evangelizzazione non sarà mai possibile senza l’azione dello Spirito Santo. Su Gesù di Nazareth, lo Spirito discende nel momento del battesimo, quando la voce del Padre – «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto» – manifesta in modo sensibile la sua elezione e la sua missione. «Condotto dallo Spirito», egli vive nel deserto la lotta decisiva e la prova suprema prima di iniziare tale missione. «Con la potenza dello Spirito» egli ritorna in Galilea, e a Nazareth dà inizio alla sua predicazione, applicando a se stesso il brano di Isaia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me». «Oggi – egli proclama – si è adempiuta questa Scrittura». Ai discepoli quando è sul punto di inviarli, dice alitando su di loro: «Ricevete lo Spirito Santo». Di fatto, soltanto dopo la discesa dello Spirito Santo, nel giorno della Pentecoste, gli apostoli partono verso tutte le direzioni del mondo per cominciare la grande opera di evangelizzazione della Chiesa, e Pietro spiega l’evento come realizzazione della profezia di Gioele: «Io effonderò il mio Spirito». Pietro è ricolmato di Spirito Santo per parlare al popolo su Gesù, Figlio di Dio. Paolo a sua volta, è riempito di Spirito Santo prima di dedicarsi al suo ministero apostolico, come pure lo è Stefano quando è scelto per esercitare la diaconia, e più tardi per la testimonianza del martirio. Lo stesso Spirito che fa parlare Pietro, Paolo o gli altri Apostoli, ispirando loro le parole da dire, discende anche «sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso». «Colma del conforto dello Spirito Santo», la Chiesa «cresce». Lo Spirito è l’anima di questa Chiesa. È lui che spiega ai fedeli il significato profondo dell’insegnamento di Gesù e del suo mistero. È lui che, oggi come agli inizi della Chiesa, opera in ogni evangelizzatore che si lasci possedere e condurre da lui, che gli suggerisce le parole che da solo non saprebbe trovare, predisponendo nello stesso tempo l’animo di chi ascolta perché sia aperto ad accogliere la Buona Novella e il Regno annunziato.
Le tecniche dell’evangelizzazione sono buone, ma neppure le più perfette tra di esse potrebbero sostituire l’azione discreta dello Spirito. Anche la preparazione più raffinata dell’evangelizzatore, non opera nulla senza di lui. Senza di lui la dialettica più convincente è impotente sullo spirito degli uomini. Senza di lui, i più elaborati schemi a base sociologica, o psicologica, si rivelano vuoti e privi di valore.
Noi stiamo vivendo nella Chiesa un momento privilegiato dello Spirito. Si cerca da per tutto di conoscerlo meglio, quale è rivelato dalle Sacre Scritture. Si è felici di porsi sotto la sua mozione. Ci si raccoglie attorno a lui e ci si vuol lasciar guidare da lui. Ebbene, se lo Spirito di Dio ha un posto eminente in tutta la vita della Chiesa, egli agisce, soprattutto nella missione evangelizzatrice: non a caso il grande inizio dell’evangelizzazione avvenne il mattino di Pentecoste, sotto il soffio dello Spirito.
Si può dire che lo Spirito Santo è l’agente principale dell’evangelizzazione: è lui che spinge ad annunziare il Vangelo e che nell’intimo delle coscienze fa accogliere e comprendere la parola della salvezza. Ma si può parimente dire che egli è il termine dell’evangelizzazione: egli solo suscita la nuova creazione, l’umanità nuova a cui l’evangelizzazione deve mirare, con quella unità nella varietà che l’evangelizzazione tende a provocare nella comunità cristiana. Per mezzo di lui il Vangelo penetra nel cuore del mondo, perché egli guida al discernimento dei segni dei tempi – segni di Dio – che l’evangelizzazione discopre e mette in valore nella storia”.
Già le pagine dell’Antico Testamento ci presentano la promessa e l’attesa della piena Rivelazione di Gesù Cristo nel dono dello Spirito Santo per una comunione piena tra noi (Babele, Gen 1, 1-9) e con Dio (Mosè sul Sinai; Es 19). Un richiamo per ciascuno di noi, nei ruoli diversi che ci competono, a sentirsi un unico corpo, un cuor solo e un’anima sola nelle nostre famiglie, nei nostri piccoli gruppi di AC, nelle povere comunità parrocchiali e nella più vasta realtà della Chiesa. Questo è quanto chiediamo nel cuore della celebrazione della Messa, nella preghiera eucaristica, quando preghiamo: “Lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo”; e ancora: “Dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito”. In ogni nostro compito, nella Chiesa e nel mondo, non siamo soli: il Signore è con noi; noi siamo con gli altri! Il credente è invitato ad alzare gli occhi dalla realtà quotidiana, con le sue gioie e speranze, tristezze e angosce, e a guardare a Cristo che è sempre presente e che non ci fa mancare il dono del suo Santo Spirito. Solo chi ha il coraggio di guardare in alto, riesce a vedere anche i fratelli e le sorelle, a vederli meglio con lo sguardo e la capacità di penetrazione amorosa del Signore. Egli ci aiuta nella luce dello Spirito Santo a comprendere come lui e con lui i nostri fratelli e le nostre sorelle, cominciando da chi ci sta più vicino, “educandoli”, cioè tirandoli fuori dal male, e portandoli a Cristo con quella benedetta carità, espressione della potenza dello Spirito Santo, tanto esercitata da Gesù nel corso della sua vita tra di noi in questo mondo, su questa nostra terra, fecondata dall’opera dello Spirito Santo. Questa è la nostra speranza in un Dio che, nell’effusione del suo Santo Spirito, ci libera dal peccato e dalla morte.
Quanto è bello anche per noi poter poi “esplodere” nella lode a Dio per le piccole e grandi cose che egli compie in mezzo a noi, come fece la Vergine Maria, colmata di Spirito Santo, quel giorno da Elisabetta con il suo Magnificat (Lc 1, 46-55); come fece Gesù (Lc 10, 21): “In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza»”. Il Profeta Gioele (3, 1-2) aveva annunciato questa possibilità per tutti i credenti nell’esperienza di una piena e abbondante effusione dello Spirito di Dio, secondo la stupenda esclamazione di Mosè riportata nel libro dei Numeri (11, 29): “Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo Spirito!”.
Scriveva Papa Francesco al Presidente della Commissione per l’America Latina (19.03.2016): «Papa Paolo VI usa un’espressione che ritengo fondamentale, la fede del nostro popolo, i suoi orientamenti, ricerche, desideri, aneliti, quando si riescono ad ascoltare e a orientare, finiscono col manifestarci una genuina presenza dello Spirito. Confidiamo nel nostro Popolo, nella sua memoria e nel suo “olfatto”, confidiamo che lo Spirito Santo agisce in e con esso, e che questo Spirito non è solo “proprietà” della gerarchia ecclesiale».
Al di là delle sue manifestazioni esteriori come la colomba al battesimo di Gesù, come il fuoco e il vento del giorno di Pentecoste o la capacità di parlare lingue nuove, egli è il “Paraclito”, cioè “colui che ci sta accanto” per portare con noi il peso della vita. L’attuale traduzione italiana della Bibbia ha fatto la scelta di riportare letteralmente il termine greco con cui si definisce lo Spirito Santo, il “Paraclito”. Se dovessimo tradurre letteralmente il termine Paraclito con il quale Gesù definisce l’essenza e l’opera dello Spirito Santo dovremmo parlare di “avvocato”. Infatti il termine usato di parakletos in greco, diviene in latino advocatus e quindi in italiano avvocato: un’espressione che non possiamo usare perché evoca nel linguaggio quotidiano esperienze non sempre felici. La parola latina ad-vocatus ci fa capire e designa l’identità di questa persona della Santissima Trinità chiamata a continuare l’opera di Cristo nel mondo e nella storia, colui che è chiamato (vocatus) a starci vicino (ad), a mettersi accanto a noi.
Era stata questa anche l’esperienza e la missione di Cristo, del Figlio di Dio fatto uomo e mandato dal Padre a starci accanto, a “condividere in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana” (prece eucaristica IV). Gesù stesso infatti, nel discorso dell’ultima cena, dice “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre” (Gv 14,16). Con queste parole Gesù definisce se stesso un primo Paraclito e lo Spirito Santo un altro, un secondo Paraclito.
La precedente traduzione della Sacra Scrittura definiva lo Spirito Santo come il “Consolatore”; non tanto colui che asciuga le nostre lacrime, ma colui che ci difende, ci dà forza, ci incoraggia e ci sta sempre accanto. È questa la definizione che Gesù ci dà dello Spirito Santo. Egli non è tanto una colomba, non è un fuoco, non è un vento impetuoso come il tuono o leggero come una brezza, ma egli è una presenza, uno che ci sta vicino. Il Nuovo Testamento nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli – come già nell’Antico Testamento – rivela la difficoltà di presentare questa figura e ricorre alle varie immagini ricordate. Gesù molto concretamente ci dice che lo Spirito Santo è colui che continua la sua opera, la sua missione, la sua presenza accanto a noi; è il suo Spirito, lo Spirito di Cristo: la sua capacità di amare, di perdonare, di servire, di salvare, di dare la vita, di annunciare il Vangelo…
Il nostro Progetto formativo di AC (p. 23) ci ricorda che: «Primo protagonista di questa azione (formativa) è lo Spirito, che in ciascuno è appello e sostegno a vivere la propria umanità così come l’ha vissuta Gesù. Avere cura della formazione significa crescere in questa disponibilità a riconoscere ed assecondare l’opera dello Spirito in noi. La parola decisiva è il sì allo Spirito che ciascuno pronuncia nel segreto della propria coscienza».
Il Figlio di Dio che si è incarnato è fatto uomo per noi, è venuto accanto a noi, colmo di Spirito Santo, per dare un senso nuovo e pieno alla nostra esistenza, alla nostra vita. Lo Spirito Santo, lui che è “l’Evangelizzatore” con e dopo Gesù, ha oggi per noi un compito specifico e molto esplicito: ricordarci le parole di Gesù, insegnarci la verità, istruirci e guidarci con la sua luce e la sua sapienza. La Sequenza di Pentecoste descrive tutte le modalità in cui questo avviene, in cui si realizza questo starci accanto, in cui si compie questa autentica “consolazione”. Lo Spirito Santo in nome di Dio continua l’opera di Cristo: egli è riposo nella fatica, riparo nella calura e conforto nel pianto, poiché viene a lavare quanto è macchiato, a irrigare ciò che è arido, a risanare quanto è ferito; lui che viene a piegare tutto quello che è troppo rigido, a scaldare tutto ciò che è freddo e a raddrizzare quanto è storto.
Diceva Papa Francesco al FIAC (27.04.2017): “Che sia la realtà a dettarvi il tempo, che permettiate allo Spirito Santo di guidarvi. Egli è il maestro interiore che illumina il nostro operato quando siamo liberi da preconcetti e condizionamenti. S’impara a evangelizzare evangelizzando, come s’impara a pregare pregando, se il nostro cuore è bendisposto”. San Paolo ci ricorda che chi si lascia guidare dallo Spirito Santo, costui è veramente figlio di Dio (Rm 8, 14), perché lo Spirito Santo dimora dentro di lui. Noi viviamo e sperimentiamo la comunione con la Trinità beata grazie alla presenza dello Spirito Santo. Grazie a lui siamo fin d’ora e per l’eternità con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo. È questa l’esperienza della Pentecoste: una forza interiore che cambia e trasfigura tutta la nostra realtà umana per essere evangelizzatori con Spirito.
Questo Santo Spirito ci rinfresca e ci spinge come un vento; egli ci illumina e ci riscalda come un fuoco. È lui che ci abilita a parlare un linguaggio nuovo, quello dell’amore. Gesù non ha forse vissuto tutto questo nella sua vita? Lui, che ci conosce bene e conosce la vita dell’uomo, ci dice: “Per il momento non siete capaci di portarne il peso” (Gv 16, 12). Il peso del Vangelo, il peso dell’annuncio, il peso dell’evangelizzazione, il peso della costruzione del Regno nel mondo, il peso del conoscere Dio e delle novità di Dio, il peso delle esigenze di Dio e della fatica del credere, dell’amare e dello sperare. Sì, la vita cristiana è anche un peso! Pensiamo alla paura, alla fatica, oltre che alla preghiera, dei Dodici con Maria nel cenacolo; a loro giunge il conforto, il coraggio dello Spirito Santo e tutto diventa più agevole, più leggero. Pensiamo all’esperienza dell’apostolo Paolo: non è stato facile neanche per lui dominare il proprio carattere e istinto. Ma con lo Spirito Santo tutto diventa più facile; tutto diventa possibile. In lui il cammino si fa più spedito anche oggi, se ci apriamo alla sua presenza e alla sua azione. Egli porta in noi un frutto buono in nuove modalità ed espressioni, come le descrive la lettera ai Galati (5, 22), parlando di un unico frutto dello Spirito in diverse espressioni: amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. Sono i segni della sua presenza; sono i segni e le vie del nostro essere evangelizzatori con Spirito.
L’esperienza, la verità del cristianesimo è questa: non c’è più solo una legge pesante a cui dover obbedire, ma c’è una presenza da riconoscere e accogliere, da invocare e sperimentare. Come canta la Sequenza di Pentecoste “un dolcissimo sollievo” per tanti la cui vita è pesante. Oggi più che mai certi pesi sembrano veramente schiacciare le persone e le famiglie: “Vieni, Spirito Santo, fai sperimentare la presenza di Dio”. Con il nostro impegno di “paracliti” nel farci prossimo a chi attende i segni e il frutto dello Spirito Santo che è in noi: la sua comunione, la sua pace, la sua serenità.
Una delle realtà più pesanti che sperimentiamo ogni giorno, a volte in modo drammatico, non solo nell’evangelizzazione ma anche nella vita quotidiana, è l’esatto contrario della Pentecoste, cioè l’incomunicabilità. Quel giorno a Gerusalemme la gente meravigliata diceva: ma noi ora li vediamo, questi apostoli, noi comprendiamo il loro messaggio, il loro linguaggio. Invece oggi spesso non ci si capisce; non tanto perché la nostra società è ormai multirazziale, multietnica, multiculturale e multireligiosa, non perché ci sono anche tra noi diverse lingue, ma perché si parla spesso con “linguaggi” diversi. Non ci si comprende in famiglia, nelle nostre comunità, non tanto e non solo in quelle sociali e politiche, ma anche in quelle religiose. Io penso, dico qualcosa e quello comprende tutt’altro! Io non capisco certe realtà, certi comportamenti degli altri: a volte è qualcosa di drammatico. Occorre riscoprire quello stile che cinquant’anni fa fu una delle caratteristiche fondamentali del Concilio Vaticano II: il dialogo!
Gesù conosce questa nostra realtà e nel suo discorso più importante, quello dell’ultima cena, ci parla, lui che si è definito “la via, la verità e la vita”, e ci promette il dono dello Spirito Santo, come “lo Spirito della verità, che ci guiderà alla verità tutta intera” (Gv 16, 17). “O luce beatissima, invadi intimamente il cuore – e le menti – dei tuoi fedeli” è l’invocazione della Sequenza di Pentecoste. Quanto ne abbiamo bisogno per noi e per essere nel mondo segno e testimonianza di verità, di autenticità, di trasparenza. Siamo chiamati a dire la verità, che non può mai essere un peso, per camminare nello Spirito Santo, lasciandoci guidare da lui, consapevoli che “La legge nuova – che è la grazia dello Spirito Santo donata mediante la fede in Cristo – non si contenta di dire ciò che si deve fare, ma dona anche la forza di fare la verità”, come scriveva San Giovanni Paolo II nella Veritatis Splendor (n. 24).
Siamo certi, infatti, che proprio dalla preghiera può scaturire qualcosa di nuovo, di vero, di bello anche oggi per noi, per la Chiesa, per il mondo. Così avvenne allora a Gerusalemme: Maria e gli apostoli erano unanimi nella preghiera, erano in comunione tra loro, dopo i dissapori e le defezioni dei giorni della passione. Essi sperimentarono nella preghiera quell’unico linguaggio dell’amore che unisce a Dio e affratella gli uomini. Da questa loro comunione è scaturita per tutte le genti, allora presenti nella città santa, una realtà nuova di comunione, di fraternità, di comprensione. Guardando all’immagine del Cenacolo, anche noi vogliamo che questo avvenga ancora oggi, in questo nostro mondo, segnato da incomprensione e ostilità, per il bene e il progresso di tutti i popoli. Il Santo Papa Giovanni Paolo II, intrepido assertore e araldo della comune volontà di pace dei cristiani, nella sua Enciclica Dominum et Vivificantem (n. 67) ci ricorda che “poiché la via della pace passa in definitiva attraverso l’amore e tende a creare la civiltà dell’amore, la Chiesa fissa lo sguardo in Colui che è l’amore del Padre e del Figlio e, nonostante le crescenti minacce, non cessa di aver fiducia, non cessa di invocare e di servire la pace dell’uomo sulla terra”.
Dal cielo invochiamo questo rumore più forte del rombo dei cannoni e del crepitare delle armi: il vento impetuoso dello Spirito di verità e il fuoco ardente dell’amore di Dio. Lo invochiamo con vigore, con coraggio, con decisione per le nostre famiglie, per le nostre comunità e per l’intera famiglia umana. Gesù ha parlato dello Spirito Santo anche come dell’acqua, come di una sorgente, che può scaturire anche dentro di noi. Lo Spirito Santo scende nel terreno del nostro cuore, della nostra anima e della nostra vita e fa crescere diverse realtà come da un unico terreno spuntano piante, erbe, ortaggi, che danno frutti e fiori diversi. Logico che l’azione della grazia di Dio esige la nostra parte di collaborazione nella consapevolezza che “è Dio che opera tutto in tutti” (1Cor 12,6); è lui che fa crescere il Regno di Dio. Se non si pianta, non cresce nulla! D’altra parte, piantare e ritenere che il risultato sia merito nostro, è negare i frutti della grazia di Dio; significa appropriarci dei diritti d’autore dell’Artista dell’Universo, vuol dire attribuirsi meriti altrui! “Vieni, Santo Spirito, luce dei cuori, senza la tua forza non c’è nulla nell’uomo!” (Sequenza).
È bello riconoscere che la devozione cristiana ha dato anche alla Madonna, a Maria, lo stesso titolo di “avvocato”: avvocata dei peccatori. Il popolo cristiano la invoca “Tu avvocata di grazia” perché lei per prima ha sperimentato la presenza del Paraclito, di colui che le è stato accanto, anzi l’ha colmata della sua presenza fin dall’Annunciazione e poi anche a Pentecoste. Ella come immagine e modello della Chiesa e di ogni credente è chiamata a continuare questo servizio, questo ministero per noi e per l’umanità.
Scrive Papa Francesco nella II parte del Capitolo V di EG (n. 284): “Con lo Spirito Santo, in mezzo al popolo sta sempre Maria. Lei radunava i discepoli per invocarlo (At 1, 14), e così ha reso possibile l’esplosione missionaria che avvenne a Pentecoste. Lei è la Madre della Chiesa evangelizzatrice e senza di lei non possiamo comprendere pienamente lo spirito della nuova evangelizzazione”.
Ma anche noi siamo chiamati ad essere “paracliti”, persone guidate dallo Spirito di Dio, che hanno il coraggio, la forza e la perseveranza di stare accanto agli altri, soprattutto ai piccoli, ai poveri e ai sofferenti con amore. Chiamati a continuare l’opera di Cristo con la forza dello Spirito Santo che ci sta accanto e che riempie il nostro cuore con la sua presenza. Una comunità dei credenti che parte dai suoi “Cenacoli” dell’Eucaristia domenicale per farsi vicina con semplicità e cura a chi soffre, a chi cerca e a chi spera.
Venga il Santo Spirito e ci aiuti a parlare quel linguaggio che tutti capiscono, il linguaggio dell’amore di chi sa porsi accanto, anche in silenzio; il linguaggio che è la Parola di Dio, il Vangelo di Cristo, parola viva e vera per noi, in noi e con noi per sempre e in ogni luogo. Quella “parola bella” e umile che è veramente abitata dallo Spirito Santo, che ci fa veramente evangelizzatori con Spirito, come ci richiama, il Vescovo Lauro nella sua Lettera alla Comunità La vita è bella: «Il Dio di Gesù di Nazareth ci mostra la bellezza di una vita declinata nella sobrietà. Sobrietà, anzitutto, come parola umile. Non s’afferma con la presunzione del soggetto, ma s’innesta come parte sussidiaria a comporre la frase, dandovi però senso compiuto. Un “io” senza complementi non ha alcun significato. Ecco allora la bellezza di una parola che non teme di ospitare altre parole. La bellezza di idee non assolute, fonte di pensiero articolato e conciliante al posto di slogan semplificatori e stroncanti. Quanto di questa parola avrebbero bisogno il mondo politico e istituzionale, compreso l’ambito ecclesiale! Parola umile nello stile. Parola non vuota, ma abitata da concretezza e verità. Parola profetica, che motiva l’essere sobri oggi per iniziare a costruire fin d’ora, nel dono del discernimento, pezzi di futuro per i figli e i figli dei figli».
Venga lo Spirito Santo nelle nostre celebrazioni e ci renda in esse e partendo da esse evangelizzatori con Spirito: “L’evangelizzazione gioiosa si fa bellezza nella Liturgia in mezzo all’esigenza quotidiana di far progredire il bene. La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della Liturgia, la quale è anche celebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di un rinnovato impulso a donarsi” (EG 24).