Scritto da Tommaso Moro tra il 1534 e il 1535 quando si trovava in prigione nella Torre di Londra, prima di venire giustiziato il 6 luglio 1535, è considerato uno dei capolavori di meditazione spirituale.
Zio e nipote, questi i protagonisti del dialogo, si interrogano e approfondiscono il senso della sofferenza, che attanaglia ogni uomo in vari modi ed intensità, e del modo in cui poterla meglio affrontare: una meditazione che accompagna la scelta di Moro, che con una parola avrebbe potuto salvarsi. Un messsaggio a coloro che lascia, come spiegazione della sua decisione di rimanere in silenzio davanti all’Atto di successione di Enrico VIII sul quale gli era stato chiesto di giurare.
E’ un libro che, pur scritto quasi cinquecento anni fa [quest’anno di celebrano i 500 anni dall’uscita di Utopia, più nota opera dell’autore] è di facile lettura per la sua narrazione che integra spiritualità, osservazione antropologica e psicologica del comportamento umano, ancora oggi attuale. Nel Libro 1 cap X, si legge: “Poichè è certo che, se uno può, come infatti lo può, sentir gran conforto nella purezza della propria coscienza, anche se gli viene imputato un falso delitto, e se viene addotta contro di lui una falsa testimonianza, se viene falsamente punito e perciò posto alla berlina davanti al mondo e ne dovesse soffrire, cento volte maggior conforto potrà sentire nel prorio cuore colui che, dove il bianco è chiamato nero, e il diritto torto, riman fedele alla verità e vien perseguitato per la giustizia.”
Il testo si compone di tre libri che affrontono, nello stile del dialogo intenso tra i due protagosti, la riflessione sulle tribolazioni.
Nel primo sono descritte quelle che derivano dalle sofferenze fisiche, nel secondo quelle legate al possesso di beni, ovvero le tribolazioni date dal timore di una loro perdita e nel terzo, quelle riconducibili alla fede: alla sofferenza di trovarsi a rinunciare alla fede per aver salva la vita.
In tutti i casi la sofferenza è presentata come pungolo di crescita per la propria fede. Occasione per dire un chiaro no al diavolo che abilmente propone la via più facile, la soluzione comoda. L’invito di Moro, sempre, è quello di ritornare all’essenziale, a ciò che conta veramente nella vita.
Di porre al centro del vivere quotidiano la scelta di fede e quindi per Gesù. Di far crescere consapevolezza su questo, di approfondire la fede in Lui. La conclusione di Moro è semplice e allo stesso tempo impegnativa: la consolazione d ogni tribolazione si trova confidando in Dio. Qui sta la serenità: la tranquillità di sapere che la propria anima è protetta nell’eterna beatitudine.
L’invito di Moro, ancora valido, è di allenare la mente, il corpo e lo spirito a queste impopolari riflessioni affinchè, quando la vita chiamerà al confronto vero su questi temi, si sia pronti a scegliere in coscienza, con la certezza che ogni uomo, in qualsiasi situazione si trovi, può trovare rifugio nel palmo della mano di Dio.
Dialogo del conforto nelle tribolazioni – Tommaso Moro – Rubettino, Editore – 2011