Abitare nella Galilea delle genti. Buona Pasqua!

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di don Giulio Viviani, assistente diocesano

Ancora una volta, anche in questa Pasqua, lasciamoci guidare dal Vangelo di Matteo, che ci accompagna in tutto quest’anno.

Ritorna due volte nella pagina della risurrezione di Gesù e anche nel canto della Sequenza pasquale il riferimento alla Galilea. Questa regione è presente nei Vangeli fin dalle prime battute: è lì che Gesù abita; è lì che inizia la sua vita pubblica; è lì che compie i suoi primi miracoli, segni d’amore e di salvezza; è lì, nella Galilea delle genti – crocevia di popoli e razze, incrocio di strade e cammini – che risuona per la prima volta l’annuncio del Vangelo, l’annuncio del Regno sulla bocca di Cristo. Dalla Galilea tutto è cominciato, dalla Galilea tutto riprende e ricomincia dopo la morte e risurrezione del Signore.

L’angelo annuncia alle donne: «Ed ecco, vi precede in Galilea!»; e subito dopo Gesù stesso proclama con forza ancora a quelle coraggiose testimoni del sepolcro vuoto: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno» (Mt 28, 7.10). L’antica composizione poetica della Sequenza fa acclamare a Maria Maddalena: «Cristo, mia speranza, è risorto; precede i suoi in Galilea!». Anche l’apostolo Pietro, nel suo discorso nella casa del centurione Cornelio (At 10, 37), ricorda che la vicenda di Gesù ha avuto inizio proprio in Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni. Da quel momento Gesù è passato beneficando e sanando tutti, rivelandosi come il Messia atteso, come colui che viene a perdonare, a togliere il peccato, ad offrire salvezza.

Il nostro mondo, la nostra società, le nostre città, le nostre valli, le nostre parrocchie sono oggi la Galilea in cui incontrare, testimoniare e riconoscere il Cristo. Lì e non altrove noi siamo chiamati a essere come il lievito che fa fermentare tutta la pasta (1Cor 5, 6), che la rende sempre nuova e la trasforma in qualcosa di fragrante. La Pasqua di Cristo, i suoi Sacramenti sono il lievito che fa fermentare anche noi azzimi, cioè povera pasta afflosciata, che altrimenti non riesce a lievitare, si indurisce, come una crosta vecchia. Nel giorno di Pasqua, noi cristiani celebriamo la grande festa, il convito nuziale, il banchetto pasquale di Cristo, Sposo e Signore, Agnello immolato, fragrante Pane di Vita, Vino nuovo di salvezza.

Il Prefazio, che in quel giorno solenne e in tutto il tempo pasquale cantiamo o proclamiamo, ci fa dire che «l’umanità esulta su tutta la terra». Ma è proprio vero? Nella nostra Galilea, nel nostro mondo è sempre vero questo? Dove si esulta oggi? Forse nel vicino Medio Oriente e negli altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo? In tante, troppe, regioni dell’Africa e dell’Asia, insanguinate da lotte e violenze, da povertà e sofferenze, si può esultare? Sì, il cristiano, pur partecipando di quelle sofferenze, esulta nel suo cuore, perché sa che, nonostante tutto, il venerdì santo non dura per sempre; sa che la Pasqua di Cristo ha avviato un moto, un movimento, un progresso di verità, di libertà, di amore, di giustizia e di pace che nulla e nessuno può più arrestare.

La riflessione nelle Giornate di Spiritualità, partendo dalla Pacem in terris del Papa San Giovanni XXIII, ci ha aiutato a comprendere meglio la portata della pace che scaturisce dalla Pasqua di Cristo. Egli scrive (n. 90): «Per questo la nostra invocazione in questi giorni sacri sale più fervorosa a colui che ha vinto nella sua dolorosa passione e morte il peccato, elemento disgregatore e apportatore di lutti e squilibri ed ha riconciliato l’umanità col Padre celeste nel suo sangue: “Poiché egli è la nostra pace, egli che delle due ne ha fatta una sola… E venne ad evangelizzare la pace a voi, che eravate lontani, e la pace ai vicini” (Ef 3, 14-17). E nella liturgia di questi giorni risuona l’annuncio: “Venne Gesù, nostro Signore, e stando in mezzo ai suoi discepoli, disse Pace a voi, alleluia! E i discepoli si rallegrarono a vedere il Signore” (Ufficio delle Letture; Venerdì dell’Ottava di Pasqua). Egli lascia la pace, egli porta la pace: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi”. (Gv 14, 27). Questa è la pace che chiediamo a lui con l’ardente sospiro della nostra preghiera».

Caro amico di Ac, in questo giorno di Pasqua lo dico anche a te: So che cerchi Gesù! Come disse l’angelo alle donne, io lo ripeto a te: So che lo cerchi con tutto il cuore, con i tuoi ragionamenti, con la tua buona volontà e con la tua ansia, che spesso si fa angoscia. Quel Cristo che tu cerchi è risorto e ti precede, ti attende sulle vie del mondo e della storia, nella Galilea delle genti.

Portate a tutti la gioia del Signore risorto!”: il saluto, il congedo del sacerdote o del diacono alla fine della Messa pasquale diventa un dono, una consegna, un invio per essere suoi testimoni. Non è una parola vuota, ma è la promessa che si è adempiuta, è una presenza da far conoscere, da far scoprire e da far vedere. Il messaggio da diffondere è quello che Gesù il Cristo ripete anche a te: “Non aver paura, non temere; sono risorto e sono sempre con te!”. Egli ormai abita con te, con noi, nella Galilea delle genti. Buona Pasqua!

don Giulio