L’esperienza di Sara nella storia della salvezza

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Sabato 29 novembre in seminario a Trento si è svolta la II Giornata di spiritualità dal titolo Sara: dopo gli anni dell’amarezza, il “sorriso di Dio”.

Ringraziamo l’assistente diocesano  don Giampaolo Tomasi, che ci ha aiutati a conoscere la figura biblica di Sara, moglie di Abramo, e a riconoscere nel suo cammino di fede le nostre logiche umane e la difficoltà ad avere pazienza, umiltà, fiducia.

L’adorazione eucaristica, con le preghiere di richiesta, di lode e di intercessione e la condivisione in piccoli gruppi hanno centrato il tema sull’importanza della testimonianza (siamo chiamati a far emergere la realtà della Chiesa nel mondo non più cristiano di oggi), sul nostro essere in cammino, sull’esigenza di scegliere, di far crescere e coltivare la fede, sul riconoscere nella storia e nelle storie di ognuno il sorriso di Dio (da scoprire, mostrare e trasmettere).

Riportiamo qualche stralcio della meditazione e le domande per la riflessione personale.

Lo sappiamo: la storia della salvezza, che è storia dell’Alleanza di Dio con gli uomini, ha dei capisaldi e uno di questi è la storia di Abram, nostro padre nella fede, ed è giusto che oggi guardiamo a colei che gli fu accanto come sposa e madre del “figlio della promessa”: Sarai.
Sarai pur non potendo avere un figlio, a causa della sua sterilità e dell’età avanzata, credette ugualmente alla Parola di Dio che glielo aveva promesso, per questo è additata dall’autore della lettera agli Ebrei come modello di donna di fede, degna di ammirazione (cfr. Eb 11, 11.12).

La storia di Sarai incomincia in Genesi 12 con la chiamata di Abram: già sua sposa in Ur dei Caldei, la terra tra i due fiumi, lo accompagnò nelle sue peregrinazioni verso la terra di Canaan, facendo prima tappa a Carran, dove Abram ebbe la prima chiamata da parte di Dio.
Allora il patriarca aveva 75 anni e Sarai dieci di meno (cfr. Gen 12,4 e 17,17).

Questo insistere sull’età dei protagonisti ha un preciso significato: c’è una impossibilità umana a creare futuro, ad aprire una nuova tappa della storia; ma quello che è impossibile agli uomini non lo è per Dio!
È proprio su questo confronto tra “possibile” e “impossibile” che si dipana la storia di Sarai e forse anche la nostra storia: siamo sospesi tra fede e diffidenza, tra attesa colma di speranza e possibile delusione. La fede in ciò che sta oltre quello che noi vediamo e pensiamo di realizzare, è sempre una sfida alle nostre capacità e al nostro impegno.

Non rimaniamo allora “scandalizzati” davanti alla titubanza di Sarai davanti alla promessa di un figlio, nato proprio dalle sue viscere ormai incapaci di forza generativa.
Non siamo anche noi a volte come Sarai?

Prima della gioia della maternità, segno della benedizione di Dio, ci sono per Sarai undici anni di amarezza. Come reagisce Sarai a questo mistero di Dio?
In lei prevale una logica umana: conduce ad Abram la sua schiava Agar perché gli dia un figlio. Sarai si adatta, è rassegnata, sceglie la mediocrità.
Sceglie una soluzione molto umana, probabilmente è convinta di fare bene: “di dare una mano a Dio”. 
Quante volte è capitato anche a noi di cedere alla tentazione di arrangiarci alla meglio… di pensare che “ora tocca a me…”, che non si può più aspettare… che bisogna dare una mano a Dio?

Quante volte mascheriamo la poca fede con il fare! Quante volte chiamiamo fede quella che invece è la volontà di fare riuscire i nostri piccoli progetti per avere una soddisfazione! Ricordiamo però che Dio è abbastanza grande da farcela da solo!

Proprio a questo punto Dio interviene e rilancia la promessa.
Quando Abram ha 99 anni e Sarai 89, proprio allora Dio interviene: quando l’uomo ha esaurito ogni possibilità, si apre lo spazio di Dio e di un tempo nuovo, e così Dio svela che Egli è sempre vicino e fedele all’uomo.
In Gen 17 si racconta di come Dio attui la sua promessa e lo fa preparando l’avvenimento, cambiando i nomi di Abraham e Sarai: il primo significa “colui che è grande come suo padre”, il nome nuovo Abramo significa “colui che è padre di una moltitudine” e Sarai che significa “principessa” diventa Sara, cioè “madre del re”.
Ma Abramo ride e mormora tra sé e sé, pieno di incredulità (Gen 17,17); ma forse ride di gioia per il dono che Dio gli fa. Anche Sara ride due volte, ma Dio afferma “C’è forse qualche cosa impossibile per il Signore?” (Gen 18,14) ed ecco, di nuovo il riso inonda il cuore perché verrà Isacco che significa “egli ha riso… Dio sorride.

** sul sorriso di Dio, per approfondire: leggi il Messaggio di Papa Paolo VI Gaudete in Domino (Pasqua 1964)

Guardando a Sara possiamo chiederci:
Come sono io? Sono capace della sua fede nonostante le amarezze della mia vita?
• Ho in me i sentimenti provati da Sara, ma anche quelli di Abramo e di Agar? Superbia, gelosia, ignavia, cattiveria? Mi rassegno alla logica umana… alla mentalità prevalente del buon senso?
• Ho una pazienza che non si scoraggia davanti alle prove?
• Sono capace di confidare nei doni che Dio mi ha fatto e continua ad offrirmi?

Il testo integrale della meditazione di don Giampaolo Tomasi

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