La meditazione di don Giampaolo Tomasi alla seconda Giornata di Spiritualità “Il discepolo e le ricchezze del mondo – libertà del cuore“
Trento, 19 novembre 2022
Preghiera per iniziare Sono sempre in cerca di una strada che conduca nella pienezza del tuo Regno, Signore. Tu me la indichi con chiarezza: è una strada che può essere percorsa solo a piedi, senza bisaccia né bastoni, con abiti senza tasche. Essa è lì, davanti a me, ma io, Signore, ho paura di metterci il piede perché non ho coraggio di lasciare ciò che possiedo giacché mi sento posseduto dalle cose. Vivo il dramma quotidiano dell'uomo che oscilla tra il desiderio delle stelle e l'attrazione al fango della terra. Eppure, Signore, non ho altra scelta! Se continuo a restare nella corrente comune dell'avere, resterò, nel mio essere, annegato e anziché diventare come un'angelica farfalla resterò ignobilmente come un bruco che di terra si nutre. Donamelo tu, Signore, questo coraggio liberandomi dalla fame di possedere, poiché se il cuore resterà appesantito dalle monete non potrà mai volare per gioire della vastità e della limpidezza del tuo cielo. AMEN (Averardo Dini)
Dal vangelo secondo Marco (cap. 10,17-31)
Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”. Egli allora gli disse: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza”. Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”. Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: “Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!”. I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: “Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio”. Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: “E chi può essere salvato?”. Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: “Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio”.
Pietro allora prese a dirgli: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”. Gesù gli rispose: “In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà. Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi”.
Premessa
Il testo che andiamo a meditare si compone di tre brani: la vocazione dell’uomo ricco (vv. 17-22), il pericolo delle ricchezze (vv. 23-27) e la ricompensa per la rinuncia alle ricchezze (vv. 28-31); si tratta di tre unità letterarie con caratteristiche ben diverse. Forse risalgono a momenti diversi della vita pubblica di Gesù e sono stati accostati dall’evangelista in un unico testo per il tema che li accomuna. Si tratta del tema della ricchezza, della sua oggettiva pericolosità in rapporto alla salvezza di Dio e quindi si tratta del rapporto di attaccamento o di rinuncia ad essa in cui ogni persona può vivere. L’ultimo versetto (v. 31), letterariamente legato al brano che tratta il tema della ricompensa per la rinuncia alle ricchezze del mondo, in realtà è distonico in rapporto al brano; esso fa riferimento al peccato di superbia (che nasce dall’amore per il denaro) che la ricchezza spesso porta ad assumere e dall’altra richiama i discepoli all’umiltà (che nasce dal distacco del denaro) che la scelta della povertà induce ad adottare. A questo proposito conviene subito chiarire che c’è una netta differenza tra il “possedere denaro” e “amare il denaro”. Veniamo al testo
La vocazione dell’uomo ricco
Prima che Gesù partisse per Gerusalemme, un uomo lo avvicina e gli si prostra dinnanzi: è questo un gesto che esprime una volontà aperta verso Gesù di obbedirgli, anche in vista di una conversione. Potremmo dire che l’uomo è persona sensibile e disponibile alla volontà di Dio, chiede infatti a Gesù, che tutti consideravano Maestro assai autorevole, l’interpretazione corretta della Legge per evitare la confusione nell’azione e avere la certezza della vita eterna.
L’intervento di Gesù respinge l’attributo “buono” datogli dall’uomo, riferendolo solo a Dio, e in questo modo quell’uomo può già intuire che in Gesù gli si offre Dio stesso. La domanda dell’uomo, del resto, è assai impegnativa e non può avere risposta vera che da Dio stesso e Gesù gliela dà: Gesù propone il decalogo evidenziando i comandamenti che hanno attinenza con il prossimo.
Ciò che meraviglia è il disordine con cui Gesù propone i comandamenti: cita il V, poi il VI, il VII, l’VIII, aggiunge quindi un comandamento extradecalogo che riguarda la giusta paga dell’operaio (Cfr. Dt 24,14 e Sir 4,1) e infine cita il IV. Il disordine forse è espressione della coscienza della Chiesa di Marco che sa che ormai la vecchia Legge è superata, scombussolata da Gesù (la Didaché – testo composto a cavallo tra 1° e 2° secolo d.C. – parla ormai di due vie: quella della luce e quella delle tenebre).
La risposta dell’uomo si colloca tra presuntuosità e perfezione formale farisaica (ha adempiuto la Legge). L’intervento successivo di Gesù ha il sapore delle parole dell’amico all’amico: Gesù non rimprovera all’uomo il desiderio di avere tesori, ma lo invita a maturare un desiderio più ampio e più alto: avere un Tesoro in cielo. Dunque Gesù non propone il dono dei propri averi ai poveri come ideale. Il dono dei beni è solo uno strumento per poter compiere “ciò che gli manca” cioè seguire Gesù. A questa proposta l’uomo reagisce cadendo in tristezza e afflizione, cioè dà una risposta negativa: non ha potuto accettare la separazione dai suoi “molti beni”. Ha scritto l’esegeta Gnilka: ieri come oggi “nella teoria e nella pratica la richiesta di Gesù resta una spina nella carne” di ogni credente.
Il pericolo delle ricchezze
Gesù nel secondo brano propone un principio generale sulla pericolosità delle ricchezze: esse impediscono all’uomo di entrare nel Regno di Dio. Ciò non significa che sia facile entrarvi per chi ricco non è. La difficoltà ad entrare nel Regno viene illustrata dal noto proverbio del cammello e della cruna dell’ago. Il doppio smarrimento dei discepoli esprime lo smarrimento dell’uomo di ogni tempo: chi potrà salvarsi?
La risposta di Gesù è altrettanto chiara e rassicurante quanto chiara e allarmante è stata l’affermazione ad entrare nel Regno. Gesù ha coinvolto i suoi discepoli in un ragionamento “teologico”. Li ha avvolti di affetto (li chiama “figli”) e li “guarda” come ha guardato “con amore” l’uomo a cui proponeva di seguirlo. L’argomento di Gesù va capito attraverso l’intuizione dell’affetto, dell’amore di Dio per i suoi e dei credenti verso di Lui. Dio renderà l’uomo che si apre totalmente a Lui, capace di far diventare piccolo ciò che è piccolo davanti a Dio. La salvezza è grazia e passa attraverso la sequela di Cristo.
La ricompensa per la rinuncia alle ricchezze
L’intervento di Pietro, che apre questo terzo brano, sembra aver dimenticato lo sbigottimento di poco prima circa la difficoltà ad abbandonare le ricchezze per seguire Gesù. L’apostolo, dando per scontato di aver già fatto la scelta del discepolato, si colloca subito nell’ottica della ricompensa. La domanda di Pietro nasce da una mentalità abituata al criterio della retribuzione, del merito, tipica del giudaismo del tempo.
Gesù non delude il discepolo, ma ad un patto: la rinuncia ai beni (affettivi e materiali) verrà ricompensata, ma deve avvenire per causa di Cristo e del vangelo. La rinuncia o la perdita, a causa della persecuzione, dei beni non è un fattore autonomo che ha valore in sé, ma rientra nella scelta a favore della sequela. Il discepolo che avrà lasciato tutto, otterrà il “centuplo”. Questa affermazione di Gesù si colloca nell’ottica della vita del missionario itinerante che ovunque va, ritrova in molti luoghi ciò che ha lasciato. Oltre alla ricompensa attuale, esiste anche quella finale: la vita eterna; in qualche modo la prima è “segno” che garantisce la veridicità e l’adempimento della seconda, In questo Gesù sembra seguire la prassi profetica dell’AT che spesso scandiva la profezia in due tempi (si veda 2Sam 7 la profezia di Natan a Davide circa un discendente che avrebbe costruito il tempio e un altro discendente che sarebbe stato il Messia).
Attualizzazione – Essere o avere?
Per che cosa vale la pena affannarsi, lavorare con fatica, soffrire? Che cosa in verità può renderci, se non proprio felici, almeno soddisfatti di essere al mondo? La mia libertà dove la oriento e la esercito?
“Essere” vuol dire esistere come persona, sviluppare le proprie attitudini, sentimenti, relazioni sociali, lavorare con uno scopo, avere ideali, sperare nel futuro, sentirsi parte di una comunità. Essere è la pienezza di vita cui si aspira con maggior o minore ampiezza, secondo le proprie possibilità. Ma essere vuol dire anche sentirsi un po’ svincolati dalle preoccupazioni di ogni giorno, per godere dei beni semplici che la vita ci offre.
Forse a qualcuna/o sorgerà la domanda: ma si può “essere” senza “avere”? Il possesso di alcuni beni è indispensabile per la semplice sopravvivenza. La miseria che viene denunciata spesso da televisione o giornali, dimostra con evidenza che occorre avere in una certa misura, altrimenti è la morte. Il possesso dei beni necessari oltre la semplice sopravvivenza, cioè utili per sviluppare anche le facoltà mentali e tutta la persona, è legittimo. Il problema non sta nell’escludere uno dei due verbi, ma sta a livello di stile di vita, dei valori che vengono privilegiati o trascurati: è un problema di equilibrio delle aspirazioni.
Non possiamo parlare di miseria da noi… la nostra vita non è a rischio per la mancanza di beni fondamentali, ma dobbiamo constatare che domina la preoccupazione di “avere a oltranza”, anche il superfluo. La mentalità comune dice che chi ha molto, è uno che vale molto. Questa è una cosa assai discutibile e certamente non evangelica.
Forse anche noi critichiamo il consumismo come causa del progressivo impoverimento spirituale della nostra gente. Dietro a questo fenomeno non c’è solo la pubblicità che induce falsi bisogni, ma una motivazione individuale, che può essere anche in noi, con la quale tendiamo a giustificare il bisogno di possedere per possedere e basta. Forse anche in noi il possesso dà una sensazione di sicurezza, risolve le ansie, appaga illusoriamente il bisogno di ricevere affetto, dà un senso di tranquillità. Il ricco è sempre invidiato perché “può fare e avere ciò che vuole”.
Prestiamo allora attenzione al sentimento con cui ci leghiamo alle cose. L’eccesso è l’avarizia… possesso come unica preoccupazione: avere sempre di più e conservare ogni cosa. L’avarizia è un comportamento paradossale perché la fatica dell’accumulare non è compensata dalla soddisfazione di usare ciò che si è conquistato. La ricchezza, i beni perdono qualsiasi significato e diviene solo tensione, paura di perdere, ricerca spasmodica di avere mentre ci si sente sempre insicuri
Il valore della persona è stato ridotto alla quantificazione di ciò che si possiede, alla stima e all’invidia che si acquista nei rapporti con gli altri, al senso di superiorità che viene dal confronto con gli altri: è il trionfo del culto di se stessi. Progressivamente si decade se non proprio nella meschinità, certo nell’aridità spirituale. La personalità si irrigidisce, perde flessibilità. L’ansia, apparentemente tenuta sotto controllo dalla gratificazione del possedere, esplode… e purtroppo non è col denaro o con altri beni che si può far fronte ad un dolore profondo, alla perdita di un affetto, alle preoccupazioni familiari.
Qualche domanda per riflettere
1. Sono così preoccupata/o dal fare per avere, da dimenticare di seguire il mio Signore Gesù?
2. Sento l’amore di Dio per me così forte da sentirmi libero/a dalla preoccupazione per i beni terreni?
3. Provo invidia per le condizioni di vita che ostentano i ricchi ?
4. Gesù è l’uomo libero perché rinnega il suo Io per vivere per noi… e io sono libero/a come Gesù?