AZIONE CATTOLICA – Giornate di spiritualità per laici – 2018/2019 LA PREGHIERA DIALOGO D’AMORE
2. La preghiera di perdono
Arco, sabato 17 novembre 2018 – Proposta di riflessione di don Giulio Viviani
LETTURA
Ascoltiamo la Parola di Dio dal Vangelo di Luca al capitolo 18 (9-14).
In quel tempo Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
TRACCIA DI RIFLESSIONE
Gesù stesso con una bella parabola, riportata solo nel Vangelo di Luca, ci insegna a pregare chiedendo perdono al Padre, senza sprecare troppe parole. Ecco il nostro modo di presentarci davanti al Signore, consapevoli del nostro peccato, della nostra miseria, del nostro essere poveri e bisognosi e quindi di pregarlo con sincerità: “O Dio, abbi pietà – abbi misericordia, abbi compassione – di me peccatore”! Chi ascolta la parola di Dio, chi riconosce la grandezza di Dio e lo loda non può fare a meno di riconoscere la propria povertà, i propri limiti, la propria piccolezza, i propri fallimenti, il proprio peccato e così invocare la misericordia e il perdono di quel Dio che è nostro Padre e ci riconosce e ama come figli.
Ma occorre maturare tutto questo nell’incontro con la parola di Dio, nel silenzio del proprio cuore, nel confronto con gli altri e con la storia; occorre riflettere come ha fatto il figliol prodigo che, caduto nella miseria, ha pensato di ritornare a casa e di chiedere scusa a suo padre (Lc 15, 11-32), anche se le sue motivazioni erano ancora piuttosto di comodo e interessate … Ma quel padre non lascia nemmeno aprire la bocca al figlio che si era preparato il discorsetto di circostanza (come noi quando andiamo a … confessarci!). Non servono le parole; già il gesto del ritorno, l’umiliazione della sconfitta che lo riporta a casa, è più che sufficiente; è già una preghiera che chiede scusa e invoca il perdono. Mi viene da dire che non è più importante dire i peccati, ma dire il nostro amore a Dio! Lo si può dire più con i gesti, con il silenzio, con il comportamento, con le azioni positive, con le buone pratiche (come si dice oggi!), più ancora che con le parole. Come poi avviene con la penitenza che è il segno concreto della nostra conversione: la preghiera, un atto di carità, ecc.
Scrive il Vescovo Lauro nella sua Lettera alla Comunità del 2018 Il dodicesimo cammello: «L’unico che può veramente essere considerato umile è Dio. Lo rivela in modo mirabile la parabola del Padre misericordioso che accetta la richiesta del figlio minore di avere la parte dei beni che gli spetta; lo lascia partire perché è innamorato del figlio, ma sa attenderlo con un desiderio carico d’infinita umiltà. Ecco il grande mistero di Dio che non vincola il cammino, non neutralizza l’errore, ma si mette in attesa e apre le braccia. Dio è umile perché ricrea un legame lacerato; esce, abbraccia il figlio minore; con l’anello, i sandali, il vestito bello lo reintegra nella dignità e nella libertà. Ma corre anche verso il figlio maggiore e lo supplica con insistenza perché accetti di condividere la festa: “tutto ciò che è mio è tuo” (Lc 15, 11-32)».
Nella Messa noi veniamo educati alla preghiera di perdono e impariamo a chiedere perdono a Dio con diverse preghiere e invocazioni: l’Atto penitenziale (Confesso, Kyrie con i tropi, Versetti salmici), il Padre nostro, l’Agnello di Dio e la bella formula prima della Comunione: “O Signore, io non son degno …”. In particolare la formula del “Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli che ho molto peccato …” ci insegna anche che non basta chiedere perdono a Dio ma occorre anche domandarlo ai fratelli, perché ogni nostro peccato, anche il più nascosto, fa male agli altri, abbassa il livello di santità, non solo quello personale, ma anche di una famiglia, di una comunità, della Chiesa e del mondo. Esiste poi una bella e profonda solidarietà umana e cristiana che ci fa sempre invocare insieme e non solo da soli il perdono di Dio, sentendoci tutti poveri peccatori, bisognosi della divina misericordia. Un’invocazione che coinvolge anche il Cielo – “e supplico” – Maria, Angeli e Santi.
Gesù ha voluto anche lasciarci un segno efficace del suo amore per invocare e ricevere il perdono del Padre: è il Sacramento della Riconciliazione o Penitenza (detto anche Confessione o Sacramento del Perdono), su cui abbiamo riflettuto ampliamente nel recente Anno Santo della Misericordia. Spesso ci capita di prepararci comunitariamente a questo Sacramento con una celebrazione penitenziale che ci invita ad ascoltare insieme la parola di Dio, che ci fa scoprire il bene e il male presenti nella nostra vita e ci trasmette la volontà di salvezza che Dio ha per ciascuno di noi. Nel libretto dei Piccoli Fratelli di Jesus Caritas “A causa di Gesù e del Vangelo” (AVE), si dice: «Siamo tutti poveri davanti a Dio, anche se non sempre ce ne rendiamo conto, soprattutto se possediamo la salute e la ricchezza… Per incontrare Gesù dobbiamo passare dalla piccolezza, dalla povertà, dal riconoscere il nostro bisogno di lui” e del suo perdono.
La richiesta sincera del perdono a Dio è una preghiera sempre esaudita dal Signore. Come ama ripetere Papa Francesco, Dio ci perdona sempre, ogni volta che ci rivolgiamo con fiducia a lui. Ad esempio nella Lettera Apostolica Misericordia et
misera a conclusione del giubileo straordinario della misericordia del 20.11.2016, scriveva: “Ogni peccatore non si stanchi di chiedere perdono e sentire la mano del Padre che sempre accoglie e stringe a sé”. Magari noi ci stanchiamo di chiedere perdono o non ne abbiamo il coraggio; lui invece non si stanca mai di perdonare e come il Padre misericordioso della parabola attende il nostro ritorno con le porte, le braccia e il cuore sempre aperti e spalancati. A noi chiede l’impegno di convertirci, cioè di voltarci verso di lui per guardarlo con amore e ascoltare la sua parola. Lui stesso ci dà una mano, cioè ci offre il suo Santo Spirito, perché possiamo sempre migliorare la nostra vita cristiana, come afferma nel Vangelo di Luca (11, 13): “Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!”.
Già l’11 aprile 2015 nella Misericordiae Vultus (n. 25) Papa Francesco diceva: “Lui non si stanca mai di spalancare la porta del suo cuore per ripetere che ci ama e vuole condividere con noi la sua vita. La Chiesa sente in maniera forte l’urgenza di annunciare la misericordia di Dio. La sua vita è autentica e credibile quando fa della misericordia il suo annuncio convinto. Essa sa che il suo primo compito, soprattutto in un momento come il nostro colmo di grandi speranze e forti contraddizioni, è quello di introdurre tutti nel grande mistero della misericordia di Dio, contemplando il volto di Cristo. La Chiesa è chiamata per prima ad essere testimone veritiera della misericordia professandola e vivendola come il centro della Rivelazione di Gesù Cristo. Dal cuore della Trinità, dall’intimo più profondo del mistero di Dio, sgorga e scorre senza sosta il grande fiume della misericordia. Questa fonte non potrà mai esaurirsi, per quanti siano quelli che vi si accostano. Ogni volta che ognuno ne avrà bisogno, potrà accedere ad essa, perché la misericordia di Dio è senza fine. Tanto è imperscrutabile la profondità del mistero che racchiude, tanto è inesauribile la ricchezza che da essa proviene”. Quanto è importante e preziosa la nostra preghiera per invocare il perdono e la misericordia di Dio sul mondo e sulla storia. Nessun altro può farlo al nostro posto! Chiedere al Signore di raggiunger il cuore di vittime e di carnefici con la sua grazia consolatrice e capace di conversione. Raggiungere il cuore di Cristo per presentargli tante situazioni di violenza e malvagità, di persecuzione e di odio, di male e di sofferenza che hanno bisogno del balsamo del perdono, del “super/iper-dono”.
Anche nell’unica grande preghiera che Gesù ci ha insegnato (Mt 6, 7-13), il Padre nostro, noi chiediamo a Dio che “perdoni le nostre offese, come noi perdoniamo a chi ci ha offeso” (traduzione interconfessionale): è un’invocazione ma anche un impegno molto serio ed esigente; come chiede Gesù stesso subito dopo: “Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (14-15). Proprio dalla preghiera nasce uno stile di vita tipicamente cristiano, da figli di Dio. Il monaco camaldolese Alessandro Barban nel suo libro Le vie della preghiera (AVE), scrive. “Come il pubblicano, l’orante scopre di essere inadeguato, sproporzionato rispetto a Dio: noi non siamo all’altezza di Dio. Lo scopriamo anzitutto quando ci accorgiamo di non essere in comunione con gli altri”. E aggiunge: “Un orante che non fa l’esperienza del perdono nei confronti degli altri, non è ancora un orante maturo”.
Qualche volta, in certe occasioni di celebrazioni di preghiera più spontanee, anche a noi è chiesto di esprimere le nostre richieste di perdono. Non è una confessione pubblica, ma è un modo per aiutarci a riconoscerci peccatori comunitariamente davanti a Dio e davanti ai fratelli. Chi prega con me in quel momento, come avviene nella Messa, invoca con me e per me il perdono di Dio e riconosce che quella è anche una sua mancanza della quale magari non si accorgeva neppure. Anche questo è un bel modo di educarci insieme alla vera preghiera.
Nella Amoris Laetitia, l’Esortazione Apostolica postsinodale sull’amore nella famiglia (19.03.2016), troviamo alcune belle indicazioni (n. 107-108): “Oggi sappiamo che per poter perdonare abbiamo bisogno di passare attraverso l’esperienza liberante di comprendere e perdonare noi stessi. Tante volte i nostri sbagli, o lo sguardo critico delle persone che amiamo, ci hanno fatto perdere l’affetto verso noi stessi. Questo ci induce alla fine a guardarci dagli altri, a fuggire dall’affetto, a riempirci di paure nelle relazioni interpersonali. Dunque, poter incolpare gli altri si trasforma in un falso sollievo. C’è bisogno di pregare con la propria storia, di accettare sé stessi, di saper convivere con i propri limiti, e anche di perdonarsi, per poter avere questo medesimo atteggiamento verso gli altri.
Ma questo presuppone l’esperienza di essere perdonati da Dio, giustificati gratuitamente e non per i nostri meriti. Siamo stati raggiunti da un amore previo ad ogni nostra opera, che offre sempre una nuova opportunità, promuove e stimola. Se accettiamo che l’amore di Dio è senza condizioni, che l’affetto del Padre non si deve comprare né pagare, allora potremo amare al di là di tutto, perdonare gli altri anche quando sono stati ingiusti con noi. Diversamente, la nostra vita in famiglia cesserà di essere un luogo di comprensione, accompagnamento e stimolo, e sarà uno spazio di tensione permanente e di reciproco castigo”. Pregare con la propria storia e con la propria vita tra le mani e davanti a Dio con la profonda consapevolezza che lui vede nel cuore: “Il Signore replicò a Samuele: «Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore»! (1Sam 16, 7).
La preghiera di perdono richiede però una vera e propria abitudine, uno stile di vita, nel sapersi fermare ogni giorno, normalmente la sera, a ripensare alla propria giornata, alla propria vita. Si tratta cioè dell’esame di coscienza o esame della vita, per vedere quello che c’è stato di bene o di male nella nostra giornata, in quel tempo. Quindi per ringraziare il Signore del bene che con la sua grazia e il suo aiuto abbiamo potuto compiere e per invocare il suo perdono, la sua misericordia, sul male commesso o sul bene non fatto o evitato. Ci si accorge allora che nella nostra vita c’è tanto del bene e che ci sono anche azioni cattive, ma anche che abbiamo sprecato tante occasioni per fare qualcosa di bene.
Nella sua recente Esortazione Apostolica Gaudete ed exsultate (19.03.2018), sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, Papa Francesco si rivolge anche a noi: “Pertanto chiedo a tutti i cristiani di non tralasciare di fare ogni giorno, in dialogo con il Signore che ci ama, un sincero esame di coscienza. Al tempo stesso, il discernimento ci conduce a riconoscere i mezzi concreti che il Signore predispone nel suo misterioso piano di amore, perché non ci fermiamo solo alle buone intenzioni”.
Di fonte al male attorno a noi e dentro di noi non dobbiamo certo nascondere la testa sotto la sabbia, ma neppure fermarci sempre e solo ad un esame di coscienza negativo nel giudicare noi stessi, gli altri, la Chiesa e il mondo. Occorre, a mio giudizio, trovare la capacità di superare la vecchia indicazione per l’esame di coscienza (alla sera di ogni giorno o prima della “confessione”) che ci faceva guardare solo ai peccati … Occorre imparare a guardare a tutta la vita e particolarmente anche al bene compiuto per rendere lode a Dio e trovarne incoraggiamento a incrementarlo. In questo fu maestro il Cardinale Carlo Maria Martini che ci parlava di confessio fidei, confessio laudis e confessio vitae.
San Giovanni Paolo II nella sua lettera enciclica sulla Misericordia di Dio (Dives in misericordia; Dio ricco di misericordia) esortava i cristiani (30.11.1980) a riscoprire il loro compito nel chiedere perdono a Dio e nell’invocare la misericordia del Padre per tutti gli uomini e le donne del mondo che spesso si lasciano dominare dal male. Un dovere da non trascurare e da non dimenticare come ci educa la liturgia.
In Gaudete ed exsultate Papa Francesco dedica un capitolo a commentare le Beatitudini del Vangelo di Matteo (5, 1-12) e, tra queste, quella che proclama «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (n. 80-82) e dice: “La misericordia ha due aspetti: è dare, aiutare, servire gli altri e anche perdonare, comprendere. Matteo riassume questo in una regola d’oro: «Tutto quanto vorrete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (7, 12). Il Catechismo (n. 1789 e 1787) ci ricorda che questa legge si deve applicare «in ogni caso», in modo speciale quando qualcuno «talvolta si trova ad affrontare situazioni difficili che rendono incerto il giudizio morale».
Dare e perdonare è tentare di riprodurre nella nostra vita un piccolo riflesso della perfezione di Dio, che dona e perdona in modo sovrabbondante. Per questo motivo nel vangelo di Luca non troviamo «siate perfetti» (Mt 5, 48), ma «siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati; date e vi sarà dato» (6, 36-38). E dopo Luca aggiunge qualcosa che non dovremmo trascurare: «Con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (6, 38). La misura che usiamo per comprendere e perdonare verrà applicata a noi per perdonarci. La misura che applichiamo per dare, sarà applicata a noi nel cielo per ricompensarci. Non ci conviene dimenticarlo.
Gesù non dice «Beati quelli che programmano vendetta», ma chiama beati coloro che perdonano e lo fanno «settanta volte sette» (Mt 18, 22). Occorre pensare che tutti noi siamo un esercito di perdonati. Tutti noi siamo stati guardati con compassione divina. Se ci accostiamo sinceramente al Signore e affiniamo l’udito, probabilmente sentiremo qualche volta questo rimprovero: «Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?» (Mt 18, 33). Guardare e agire con misericordia, questo è santità”. E questo è frutto della preghiera, del silenzio, della contemplazione e dell’ascolto della parola di Dio.
Dopo il Concilio Vaticano II ci siamo abituati a celebrare i Sacramenti e anche gli altri momenti di preghiera dando ampio spazio alla Parola di Dio. Non si tratta di proclamare la Scrittura tanto per iniziare la celebrazione, ma ascoltare e accogliere quello che si sta celebrando e che la Parola non solo prepara ma già rende presente e operante. Uno dei Sacramenti oggi in difficoltà è quello della Penitenza. Già sui nomi c’è confusione e poca chiarezza: Penitenza, Riconciliazione, Sacramento del Perdono o ancora la popolare definizione di Confessione. Tra tutti i riti rinnovati e riproposti con parole e segni più comprensibili questo della Penitenza stenta a decollare, a ritrovare la sua verità celebrativa ed esistenziale.
Grazie a Dio da molte parti attraverso le Celebrazioni Penitenziali comunitarie (che brutto dire “confessioni comunitarie”) con la seguente possibilità della riconciliazione individuale abbiamo però imparato a metterci anzitutto in ascolto della Parola di Dio. È questo il fondamento per celebrare bene, per invocare il perdono in questo Sacramento; non tanto e non solo aver qualcosa da dire a Dio, cioè i nostri peccati, ma, anzitutto ascoltare quello che lui ha da dire a noi. Perché solo quella Parola mi dice, ciò che è bene e ciò che è male, mi fa scoprire il mio peccato e la mia santità, la sua grazia e la mia fragilità. Quella stessa Parola poi ha una sua straordinaria efficacia nell’illuminarmi, nel guidarmi e nel darmi la forza di compiere il bene. Forse anche per questa mancanza le nostre “confessioni” oggi funzionano poco. E noi preti, è bene dirlo, sbagliamo nel continuare uno stile di confessioni individuali senza mai dare effettivo spazio alla parola di Dio come invece richiede espressamente il Rito. Aiutateci voi fedeli allora! E quando venite a confessarvi prima di dirci i vostri peccati, le vostre miserie (che sono anche le nostre) chiedeteci la Parola di Dio: “Padre mi dica la Parola!”. Basterà una frase anche brevissima della Sacra Scrittura per illuminare quella “confessione” per farci scoprire la verità della misericordia di Dio Padre e il nostro giusto atteggiamento di pentimento. Solo così potremo confessare veramente la bontà di Dio e la nostra povertà. Mettiamo un frammento della Parola di Dio davanti ai tanti frammenti dei nostri errori poiché veramente “per evangelica dicta, deleantur nostra delicta” (la parola del Vangelo cancelli i nostri peccati).
Un canto, molto semplice ma vero, ci aiuta qualche volta a dire questo al Signore: “Scusa, Signore, quando usciamo dalla strada del tuo amore: siamo noi! Scusa, Signore, se ci vedi solo all’ora del perdono ritornate da te”! In una nota (n. 70) della Gaudete et exsultate è scritto: “Dai tempi patristici la Chiesa apprezza il dono delle lacrime, come si riscontra anche nella bella preghiera Ad petendam compunctionem cordis (Per chiedere la compunzione del cuore): «O Dio onnipotente e mitissimo, che hai fatto scaturire dalla roccia una fonte d’acqua viva per il popolo assetato, fa’ sgorgare dalla durezza del nostro cuore lacrime di pentimento, affinché possiamo piangere i nostri peccati e meritare, per tua misericordia, la loro remissione» (Missale Romanum, ed. typ. 1962, p. [110])”.
Il nostro Assistente Generale mons. Gualtiero Sigismondi, nel suo piccolo libretto “L’alfabeto della preghiera e quello dell’amore” ci richiama a un atteggiamento che qualche volta abbiamo dimenticato o abbiamo paura di vivere e parlando della preghiera, del nostro dialogo con Dio, dice che esso si esprime anche nel “dialogo delle lacrime” (p. 23-29): “Il pianto è la sorgente del fiume carsico dei sentimenti, è il torrente in piena del dolore o della gioia … Le lacrime alleggeriscono il cuore di chi soffre … Le lacrime, sia di dolore, sia di gioia, sono sempre una dichiarazione d’amore”. E aggiunge, quasi a commento della nostra icona di Marta e Maria in quest’anno di Ac: “Chi ha sempre tanto da fare non ha tempo per le lacrime, ma solo per il sudore!”. Un richiamo anche per me, per noi.
In questi tempi in cui emergono scandali gravi nella Chiesa, anche tra il clero, è sempre più necessario dare il nostro contributo di preghiera per invocare il perdono di Dio e il dono del ravvedimento, pensando alle povere vittime e alle loro famiglie, senza scordare i disgraziati carnefici. Papa Francesco nello scorso mese di ottobre invitava tutta la Chiesa pregare, quando il 29 settembre 2018, un comunicato delle Sala Stampa della Santa Sede diceva: “Con questa richiesta di intercessione, il Santo Padre chiede ai fedeli di tutto il mondo di pregare perché la santa Madre di Dio ponga la Chiesa sotto il suo manto protettivo: per preservarla dagli attacchi del maligno, il grande accusatore, e renderla allo stesso tempo sempre più consapevole delle colpe, degli errori, degli abusi commessi nel presente e nel passato, e impegnata a combattere senza nessuna esitazione affinché il male non prevalga”. Anche noi siano chiamati a continuare in questa preghiera per il bene della Chiesa e delle nostre comunità.
Siccome ognuno di noi può venire a conoscenza di peccati altrui, dobbiamo ricordare che nulla ci autorizza a renderli pubblici; a meno che non siano un reato. Occorre imparare a distinguere tra peccato e reato (non solo per i preti!). La morale insegna, inoltre, che mai si può o si deve fare qualcosa di male per ottenere il bene: “Non sunt facienda mala ut eveniant bona”! Certamente anche a tutti noi tocca sempre esercitare come un vero e proprio dovere (cfr il profeta Ezechiele 18, 16-22) verso gli altri, diaconi, preti e vescovi compresi, la correzione fraterna in quei tre gradi previsti espressamente dal Vangelo: da solo con l’interessato, con due o tre testimoni e infine davanti alla comunità (Mt 18, 15-18). Ma sempre con lo stile e l’atteggiamento raccomandati da San Paolo: “Agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo” (Ef 4, 15). Cogliamo anche la possibilità di pregare per chi ci ha fatto del male, per chi ci ha offeso, per chi ci ha trattato male: è la prima via di perdono.
Così invitano a fare i Prefazi delle preghiere eucaristiche della riconciliazione: “Anche a noi offri un tempo di riconciliazione e di pace, perché affidandoci unicamente alla tua misericordia ritroviamo la via del ritorno a te, e aprendoci all’azione dello Spirito Santo viviamo in Cristo la vita nuova, nella lode perenne del tuo nome e nel servizio dei fratelli … Con la forza dello Spirito tu agisci nell’intimo dei cuori, perché i nemici si aprano al dialogo, gli avversari si stringano la mano e i popoli si incontrino nella concordia. Per tuo dono, o Padre, la ricerca sincera della pace estingue le contese, l’amore vince l’odio e la vendetta è disarmata dal perdono”.
Possiamo sempre allora anche noi pregare con le parole del re Davide nel famoso e stupendo salmo 51 (50): “Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro. Sì, le mie iniquità io le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto: così sei giusto nella tua sentenza, sei retto nel tuo giudizio … Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe. Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non scacciarmi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito. Rendimi la gioia della tua salvezza, sostienimi con uno spirito generoso”.
Durante le nostre giornate, mentre lavoriamo o camminiamo, possiamo sempre ripetere come il Pellegrino Russo, quasi come un respiro, l’invocazione con le parole del Vangelo: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore».
don Giulio Viviani