Relazione del Presidente Nazionale Luigi

in occasione della tavola rotonda “incontrACI” di Giovedì, 1 febbraio 2007

 

Come Chiesa, come Azione Cattolica cosa facciamo per formare le persone ad essere cristiane nel loro oggi?

 

Sono contento di essere stato invitato a condividere questa iniziativa dell’Azione Cattolica in questa diocesi e potrei limitarmi a portare un saluto, perché gli interventi che mi hanno preceduto sono stati davvero intensi e meritano di essere meditati con attenzione; e credo che un’iniziativa di questo tipo interpreti molto bene lo stile dell’Azione Cattolica di oggi che propone incontri aperti per riaprire quelle domande grandi che oggi troppo spesso sono banalizzate.

Porto il saluto di tutta la grande famiglia dell’Azione Cattolica che nei frequenti giri di questo periodo mi consentono di fare da tramite per mettere sempre di più in circolo tutte le iniziative nascoste che si stanno sviluppando.

Effettivamente in questo momento l’associazione vive un elemento se non di svolta però di grande responsabilità, di grande responsabilità soprattutto sul versante della formazione.  Per la prima volta dopo il Concilio l’Azione Cattolica in Italia è ricominciata a crescere in termini quantitativi, una crescita che si sta confermando nei dati di quest’anno, e qui stiamo parlando di persone non di numeri e Per questo i dati sono importanti e si  sta avvertendo la responsabilità di offrire un servizio di crescita al laicato cattolico in Italia, diffuso e discreto di cui è stato già detto e che io sottoscrivo in pieno.

Mi pare che fosse Manuel Mounier che ha detto: “la discrezione è la firma di Dio”.

A noi piacerebbe imparare a firmare il nostro servizio in Azione Cattolica con questo stile, con questo stile di discrezione appassionata che oggi viene particolarmente invocata sul versante del servizio formativo.

Sappiamo come il laicato cattolico ha conosciuto una stagione complessa dopo il Concilio. C’è stata una fase di nuova fioritura di aggregazioni laicali che inevitabilmente ha comportato alcuni elementi che tendevano ad interpretare in termini competitivi la comunione nella Chiesa. Questa fase in larga misura possiamo dire che l’abbiamo alle spalle: il Convegno ecclesiale  di Palermo già era un indicatore promettente in questa direzione, il quarto convegno ecclesiale che si è celebrato a Verona da pochi mesi ha confermato questa tendenza. Il laicato cattolico organizzato ormai è passato da un’interpretazione competitiva della comunione ad un’interpretazione cooperativa della comunione. Però ci sono forse altri passi avanti. Noi avvertiamo che tutti questi passi avanti in un certo senso convergono proprio in questo obiettivo prioritario di carattere formativo.

Sappiamo come negli ultimi anni ,forse da 10 anni, potremmo usare anche i convegni ecclesiali come termini per chiederci che ora è nell’orologio della Chiesa e nell’orologio dell’Azione Cattolica; e il mutato scenario politico che coincide con un calo verticale delle vocazioni ha spinto il laicato cattolico ad una supplenza generosa al servizio della catechesi e in termini sempre più capillari a livello del servizio dell’educazione alla fede.

Questo si è accompagnato ad un impegno altrettanto generoso nelle retrovie del volontariato e dell’attività caritatevole. Un volontariato dove io non posso non aver presente una serie di volti e situazioni concrete, iniziative concrete che passano attraverso il sacrificio discreto che non andrà mai nelle prime pagine dei giornali o nei titoli dei telegiornali: il servizio in tutte le cooperative che da Palermo a Trento l’associazione sta promuovendo.

Però probabilmente dobbiamo anche chiederci se in questa fase il laicato cattolico non sia giunto all’ora di fargli compiere un ulteriore passo avanti e non trovo giusto che il laicato cattolico nella chiesa e nel volontariato sia una specie di supplente di ruolo, nel senso che si trova costantemente ad esercitare un servizio di supplenza che se diventa cronico rischia di snaturare la sua vocazione specifica , sia la sua vocazione ecclesiale, sia la sua vocazione sociale  politica. Perché non è giusto forse, per dire una battuta su questo secondo aspetto, che il laicato cattolico sia costantemente chiamato a curare le lesioni prodotte da una società troppo conflittuale e non abbia diritto di interloquire sui fattori che provocano quelle sofferenze. Non è giusto che il laicato cattolico sia condannato a supplire alle responsabilità mancate della politica. Probabilmente c’è bisogno di una crescita di protagonismo che sicuramente deve maturare tenendo presente la lezione conciliare ma proprio per questo deve raggiungere un livello di servizio formativo che in questo momento mi pare particolarmente urgente.

L’associazione nasce nel 1867: nell’autunno del 1867 nascono i primi circoli di Azione Cattolica che ricevono l’approvazione ufficiale dal Papa l’anno successivo. Questo significa che tra l’autunno di quest’anno e la primavera del prossimo come associazione ci stiamo preparando non a commemorare i 140 anni della nascita ma a trarre da questa scadenza un’occasione di discernimento e ripensamento, perché in un certo senso in questo anniversario dobbiamo recuperare quella memoria storica di cui oggi la Chiesa ha bisogno e quindi valutare cosa significa poter dire: “Abbiamo 140 anni e forse non li dimostriamo”. Da un altro punto di vista c’è forse un secondo anniversario: 100 e 40 anni, perché questa scadenza ci porta a chiederci che cosa significano questi quarant’anni dell’Azione Cattolica dopo che il Concilio si ripensa. Forse questo è il momento di fare una valutazione di cosa abbia rappresentato la scelta religiosa in Azione Cattolica nella Chiesa e nel Paese. Ha rappresentato sicuramente  un passo indietro nei confronti di un’esposizione troppo diretta sulla prima linea della politica, e mantenendo quel passo indietro ha fatto un doppio passo avanti sul versante di una nuova spinta missionaria. La scelta religiosa non è fatta solo di un passo indietro, ma di un passo indietro e di due passi in avanti e da questo punto di vista questi passi in avanti sicuramente, come è stato chiesto dal nostro moderatore Giovanetti, comportano una necessità di pensare  in profondità che cosa vuole dire oggi dare forma alla vita perché la formazione è essenzialmente questo, quell’attività condivisa, critica, discreta, metodica, diffusa attraverso la quale si riesce a dare forma alla vita. Non una formazione che semplicemente si limita a mettere piombo sulle ali della nostra vita, ma una formazione che si propone  prima di tutto la sensibilità, l’umiltà, la voglia di mettersi in ascolto del vissuto e da un certo punto di vista credo che questo possa essere un primo elemento che deve caratterizzare sempre di più  l’impegno formativo in Azione Cattolica. Imparo ad entrare nel merito delle questioni. A Verona c’è stato offerto un criterio orientativo in questa direzione, c’è stato detto che cosa può voler significare oggi il testimoniare il Risorto nell’affettività, nella fragilità, nel lavoro, nella tradizione, in questi ambiti che possono essere delle piste nelle quali dobbiamo veramente metterci in ascolto del vissuto.

Il laico è colui che non entra a gamba tesa nei problemi ma aiuta tutta la Chiesa ad acquisire uno sguardo laicale sul vissuto delle persone. Non esiste una separatezza del laicato che delega il sacerdote facendone uno specialista di Dio e riservando per se il compito di essere un onesto artigiano nella storia: questa è una separazione dei compiti che offende l’integralità del mistero cristiano.

Il laico non è colui che rivendica nella chiesa uno spazio separato e specialista di problema separati, è colui che deve aiutare la Chiesa tutta ad entrare nel merito delle questioni, a chiedersi perché oggi l’affettività è diventata un  luogo di conflitti orrendi che degenerano in atti di violenza sanguinosa; che aiuti la comunità cristiana a non inseguire una pastorale fatta di efficienza, di eventi spettacolari, ma che faccia i conti con la fragilità; che si metta sulle tracce delle persone alle quali nessuno sa dire una parola concreta di speranza. Il laico è colui che entra nel merito delle questioni e riapre la grande questione rimossa che caratterizza il nostro tempo e che nell’ambito del convegno di Verona è stato per un certo punto di vista il leit motiv che non dovremmo ora ridurre a slogan: la questione antropologica.

Ci sono state epoche in cui storicamente i cristiani hanno dovuto, attraverso filosofi, teologi, e intellettuali, impegnarsi in maniera particolarmente articolata e forse addirittura sofisticata nel dimostrare l’esistenza di Dio. Oggi forse a noi si chiede un compito preliminare: impegnarci a dimostrare l’esistenza dell’uomo in un orizzonte culturale in cui non sappiamo più chi è una persona umana, quando, che cosa distingue il qualcuno dal qualcosa. Stiamo perdendo di vista il mistero della persona umana, che è l’unico essere al mondo nel quale finito e infinito si toccano. Dicendo questo non abbiamo forse ancora detto niente in rapporto alla fede, al fatto che soltanto essa può dare un volto all’infinito. L’infinito senza il dono della fede può essere sperimentato nell’orizzonte dell’arte, della musica, nella capacità di stupirsi per il mistero della natura, ma oggi forse stiamo perdendo anche questo. Stiamo riducendo il lato dell’infinito, che rappresenta ciò che consente alla persona umana di poter dire  DIO, stiamo riducendo questo mistero ad un optional affidato semplicemente alla marginalità delle scelte private. Dobbiamo riaprire questa grande questione,  se cioè esista nell’essere umano una finestra capace di farlo sporgere sull’infinito. Poi quella finestra sarà chiusa, ma se il credente ha il dono della responsabilità di tenerla aperta e di guardare al di là è perché probabilmente quella finestra c’è. E’ una finestra che costituisce lo strato più elementare della nostra comune umanità e non dobbiamo tradurla a beneficio di pochi fortunati ma rimetterla al centro della grande domanda sull’uomo. Essere soltanto umano è ciò che l’uomo può essere. Questo significa come ci ha detto il Santo Padre a Verona: “rendere visibile il grande SI’ della fede”. E’ vero che ci sono una serie di circostanze, con una serie di aggravanti anche interne che tendono a presentare i credenti come coloro che sanno solo dire dei NO.  Dobbiamo uscire da questo angolo dove forse qualcuno o noi stesi ci stiamo confinando. Dobbiamo riuscire a poter dire che il credente è colui che pronuncia prima di tutto un grande SI’, quello della fede e quello della vita.
In tutto il dibattito che si sta facendo sui valori non negoziabili c’è forse uno stereotipo dal quale ci dobbiamo liberare. Certo ci sono valori negoziabili ( per esempio economici)  legati alle consuetudini sociali; e la negoziazione a questo livello non è una cosa che dobbiamo demonizzare, ma una cosa mobilissima che la politica deve esercitare ponendola sotto il segno, come ci è stato detto, del bene comune che è molto di più della somma degli egoismi individuali. Ci sono dei valori negoziabili, ma ci sono anche dei valori non negoziabili che sono di due tipi ed è qui che forse il compito del laico cristiano è più critico e più preciso.

Ci sono dei valori non negoziabili che toccano il nucleo identitario della fede e di ogni religione: per i musulmani non è negoziabile il Ramadam; per un cristiano non è negoziabile la Liturgia Eucaristica della domenica. A questo livello di non negoziabilità certo i conflitti si possono disinnescare con il riconoscimento reciproco e con una buona testimonianza. Questo livello dei valori non negoziabili esige come risposta immediata l’atto della testimonianza. Ma c’è un secondo strato di valori non negoziabili che sono i valori naturali, quelli scritti nella regola d’oro: “fare agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”, ci sono valori non negoziabili che sono scritti nel codice genetico della nostra vita che ci portano a condannare la tortura, ad inorridire dinanzi alla pedofilia, a proteggere, come fa la Costituzione, la famiglia, ritenendola una società naturale e non convenzionale. C’è tutto uno strato di valori per i quali non è necessario essere cristiani e che possono essere ugualmente accreditati come non negoziabili.

Nei confronti di questo livello dobbiamo poter argomentare in favore di questi valori,  perché questo è il grande bluf: valori non negoziabili a questo livello non significa valori non argomentabili. I valori non negoziabili possono e devono essere argomentati.

 Un laico cristiano e soprattutto di Azione Cattolica è colui che deve costruire un ponte tra questi due livelli, tra i livelli dei valori più profondi della sua fede che deve testimoniare e i valori più comuni della nostra comune umanità per i quali egli deve saper argomentare. Questo, in fondo, significa una fede amica dell’intelligenza, come ci ha detto papa Benedetto VI a Verona e come ci sta dicendo in varie circostanze. Questo significa elaborare una forma che metta in equilibrio e faccia sintesi di tutti questi elementi: è il grande compito che oggi abbiamo dinanzi. I soci di Azione Cattolica sanno che nel rinnovamento che ha concluso il triennio precedente nel grande pellegrinaggio di Loreto, l’Azione Cattolica alla presenza di Giovanni Paolo II , nel suo ultimo pellegrinaggio fuori Roma prima della sua morte, ha dato a tutti i soci un nuovo progetto formativo.

Sulla base di quel progetto formativo è stato istituito un Laboratorio Nazionale della Formazione che dovrà avere un livello diocesano. La formazione è un compito complesso perché deve mettere in equilibrio tutti questi ingredienti, e chi è esperto di cucina sa che un errore di ingredienti genera un prodotto immangiabile. Dobbiamo mettere in equilibrio tutti questi ingredienti partendo dalla capacità di articolare la nostra vocazione laicale, facendo sintesi continuamente tra la coerenza del testimoniare la fede e la criticità dell’argomentare nei confronti dei valori non negoziabili di primo livello. Una formazione di questo tipo deve essere una formazione capace sempre di più di discernimento culturale. Il discernimento culturale non può essere un optional nella vita della Chiesa, non può essere un compito appaltato ad un club di intellettuali e meno che mai a un associazione popolare come l’Azione Cattolica.

Dobbiamo ritrovare quel valore fondamentale per cui la cultura è la coltivazione della nostra natura. E’ il valore aggiunto che ci fa animali culturali un po’ speciali. Che ci rende un’associazione capace di discernimento culturale, di progettualità. Le associazioni che si rinnovano in questo momento in Italia sono le associazioni capaci di fare progetti con i propri tempi, attorno al proprio Vescovo, entrando in dialogo con tutti, imparando a camminare con il passo di tutti, con lo stile di quella discrezione appassionata di cui ci parlava Mounier e facendo questo con una forte spinta missionaria.

L’Azione Cattolica è nata storicamente come un’associazione alla quale quella che una volta si chiamava la Chiesa gerarchica affidava i laici che avevano ricevuto i sacramenti perché li organizzasse, li tenesse insieme. La  Chiesa gerarchica può consegnare all’Azione Cattolica dei laici! Oggi forse questo compito lo si deve ribaltare. Siamo chiamati a portare al cuore del Vangelo tutte quelle persone che non sanno che sono credenti, che pensano di essere credenti un giorno sì e un giorno no ma che forse da un punto di vista personale si comportano meglio di noi, e nei confronti delle quali non abbiamo nessun diritto di guardare dall’alto al basso.

Dobbiamo elaborare dei cammini di riscoperta della fede per tutti coloro che hanno voglia di ricominciare. Lo  dobbiamo fare con la sapienza formativa che generazioni intere di persone che si sono spese in Azione Cattolica hanno fatto sapendo di non essere super eroi,  sapendo semplicemente che questo è quello che oggi la Chiesa, il Paese e prima ancora lo Spirito si attendono da noi.

Tornando a casa da Verona è venuto per me quasi spontaneo usare queste parole del Vangelo: “A chi molto è stato dato, molto sarà chiesto”, dobbiamo chiederci perché oggi alla Chiesa italiana è stata donata dallo Spirito questa straordinaria sintonia cooperativa tra tutte le aggregazioni laicali; dobbiamo chiederci perchè il tessuto diffuso dell’Azione Cattolica si sta popolando di ragazzi e di giovani. Perché su 1227 laici presenti a Verona più della metà erano laici di Azione Cattolica. “A chi molto è stato dato, molto sarà chiesto”. Probabilmente è giunto il momento di fare un passo avanti insieme mettendo a disposizione il nostro tempo, la nostra voglia di condividere la fede dentro una forma associativa. Lo dico a quelle persone venute qui stasera spinte dall’invito di una persona amica,  che non abbiano paura a trasformare la relazione in un vincolo, in valore aggiunto di un’associazione rispetto ad un gruppo spontaneo. L’AC è semplicemente questo: trasformare una buona relazione tra le persone in un vincolo di responsabilità, di corresponsabilità. Un vincolo che come un volano ci restituisce nei tempi morti della mediocrità, della fragilità e della caduta di tono della nostra fede, ci restituisce l’energia che ci viene da tante persone che pregano, camminano, si spendono per il Paese nella compagnia degli uomini (come ci dice Accattoli).

Ho visto che avete scritto in uno dei depliant un’espressione che mi era venuta in maniera quasi spontanea quando in un gruppo di Azione Cattolica un ragazzo mi aveva chiesto di dare una definizione di quelle che si devono dare senza pensarci troppo, mi era venuta questa immagine dell’associazione che è un po’ come un file di perle.

Domenica scorsa ero a Gaeta e c’è stato l’intervento di una ragazza molto bello, la quale mi chiedeva “Come facciamo in Azione Cattolica – aveva presente Isaia – a vedere i mandorli in fiore quando c’è la neve?”. L’Azione Cattolica dovrebbe darci gli occhiali giusti per vedere i mandorli in fiore quando c’è la neve, quegli occhiali nei quali l’eccellenza del bene prevale sullo scandalo del male. Dovrebbe darci gli occhiali giusti per vedere i mandorli in fiore e un po’ di voglia di uscire di casa più spesso per poter scommettere sulla volontà di riaprire domande grandi in un tempo che è in grado di venderci soltanto risposte piccole. L’AC è  incontrarsi con altre persone molto semplici, che hanno età diverse, formazione culturale diversa ma che hanno scommesso nella sequela del Signore, che hanno scommesso nella volontà di rendere visibile il grande SI della fede.