pubblicata su Camminiamo Insieme marzo 2025 a cura dell’addetto stampa dell’Ac del trentino
Rettore… in casa propria
Flavio Deflorian è nato a Cavalese nel 1964. Dopo la maturità scientifica al Liceo Galilei di Trento con il massimo dei voti, ha frequentato l’Università di Ingegneria dei materiali a Mesiano e si è laureato con lode. Una brillante carriera nell’Ateneo trentino ed una serie di apprezzate esperienze in vari ambiti lo hanno portano a diventare Rettore dell’Università di Trento dall’1 aprile 2021.
Dottor Deflorian, per lei è più una gioia e orgoglio essere stato uno studente modello trentino doc, sempre con il massimo dei voti, o essere il primo rettore ex studente dell’Ateneo trentino?
Vista la data in cui ho iniziato il mio mandato pensavo di ricevere una pacca sulla spalla e mi dicessero che era uno scherzo, un pesce d’aprile… Battuta a parte, non so se sono stato uno studente modello, ma non è una priorità. Mi fa piacere essere il rettore che ha studiato dentro questa università, perché significa che qui a Trento l’ateneo ha raggiunto un certo livello di maturità e produce al proprio interno la classe dirigente.
I giovani d’oggi sono molto diversi da un tempo, figli anche di un’offerta formativa alla loro portata. Pensiamo alla possibilità di studiare all’estero, alle borse di studio che aiutano studenti meritevoli, alle tante facoltà disponibili a Trento. Ma lei, che è spesso a contatto con loro, li trova maturi? Sono vulnerabili?
A volte facciamo fatica ad apprezzare i valori che hanno studenti e studentesse. Non è vero che sono scarsamente impegnati o scarsamente partecipi al mondo in cui vivono, come sostiene qualcuno. Magari una volta c’era un impegno politico, ora c’è un impegno più nel sociale e sono molto attivi in temi come cambiamento climatico o la preoccupazione sui conflitti che ci sono. Hanno delle fragilità che sono figlie di un mondo difficile anche per loro, in cui molte certezze che c’erano in passato sono sgretolate. E per loro è una fonte di stress non essere sicuri di un futuro sempre migliore, come invece avveniva nelle generazioni passate. Ora sul piano economico, sul lavoro non possiamo più ripetere le cose del passato e questo li rende più vulnerabili e fragili; e noi all’università cerchiamo di dare loro degli strumenti per irrobustirsi da questo punto di vista. Ma io vedo qualità e valori nei giovani che sono sicuramente incoraggianti.
Sposato e con due figlie, si ritrova nel loro modo di pensare e negli obiettivi?
È difficile immedesimarsi in una persona di età diversa dalla nostra. Io ritrovo delle radici comuni e delle basi comuni e c’è un ottimo dialogo, ma è chiaro che rimangono delle differenze: ogni persona è parzialmente misteriosa per gli altri e questo vale anche per le mie figlie. Loro fanno appunto parte della generazione che accennavo e fanno fatica a declinare in maniera precisa i loro obiettivi, ma penso proprio di riconoscermi nella loro sensibilità verso i problemi degli altri e nell’impegnarsi per cose che non sono solo a loro vantaggio.
Lei utilizza i mezzi di comunicazione e organizza diverse conferenze stampa, esprime spesso la sua opinione e divulga le iniziative di Ateneo. Per lei comunicare con i media è un modo per sentirsi vicino alla città e ricambiare la stima di studenti, docenti e semplici cittadini?
Direi di sì, perché la comunicazione fa parte del mio ruolo. Non ho ambizioni personali nell’apparire, ma le conferenze stampa sono un modo a volte indispensabile per comunicare cose che hanno rilevanza sia all’interno della comunità accademica che all’esterno. È anche un momento di confronto per raccogliere domande e stimoli. Lo vedo come una funzione legata al ruolo che rivesto, poi una volta terminato il mio mandato spero di ritornare come ero prima.
Il suo rapporto con la Chiesa Trentina: recentemente l’abbiamo vista presente alla consegna dei diplomi dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose.
Come ateneo, che è un ente comunque aconfessionale e laico, abbiamo delle collaborazioni e iniziative culturali e proprio in questi giorni abbiamo rinnovato un accordo quadro con la Diocesi per delle attività comuni che riguardano il Vigilianum. La diocesi trentina è una realtà importante per questo territorio e quindi è normale che ci siano delle attività condivise e anche con l’Istituto Romano Guardini abbiamo delle convenzioni per seguire lezioni all’università e per il riconoscimento di crediti formativi. Io molto prima di essere eletto rettore faccio parte di un gruppo di persone – in gran parte universitario – che promuove la Cattedra del Confronto, iniziativa supportata dalla Diocesi.
Lei ha in una intervista ha detto: “la solitudine conta, ma da soli non siamo nulla”. Cosa intendeva dire?
A volte dobbiamo confrontarci con noi stessi e riflettere in momenti in cui ci si sente soli, ma dobbiamo sempre ricordarci che siamo parte di un tessuto di relazioni. Noi abbiamo una visione che punta molto sulla singola persona, ma le relazioni sono imprescindibili sia con altre persone che con il territorio o la famiglia e il lavoro. Se non le valorizziamo non siamo nulla. Un esempio: siamo come un punto in geometria. Da solo non conta, ma in una figura geometrica come un quadrato o un cubo l’insieme è dato da una congiunzione di linee – ovvero le nostre relazioni – per fare il quadrato con tanti punti.
Quale è stata in questi primi quattro anni la soddisfazione più grande che ha avuto nel suo mondato? E la delusione o dispiacere?
Domanda difficile. Ho cercato di essere il rettore di tutti e aiutare a superare difficoltà o attriti ed essere un elemento che aiuta a unire e non a dividere, e qualche convergenza e risoluzioni di problemi e una maggiore unità mi hanno dato soddisfazione. Vorrei lasciare un ateneo, oltre che migliore di prima nella produzione scientifica, nella didattica e nei servizi agli studenti, anche accogliente per tutti e unito. A titolo personale la cosa che mi ha profondamente colpito è stata la vicinanza e l’affetto inatteso che mi è stato dimostrato nel periodo in cui dovevo curarmi per problemi di salute. Il senso di una comunità che va oltre alle questioni meramente lavorative mi ha dato molto di più e questo lo ho percepito veramente.
Momenti non piacevoli ce ne sono stati, ma bisogna superarli. Ci sono dei temi e degli obiettivi che in questi anni non sono riuscito a completare e mi dispiace, anche se non è dipeso tutto da noi; ma non essere ancora riusciti a dare inizio alla nuova sede della scuola di medicina, non riuscire ancora a rispondere alle esigenze pressanti di dare infrastrutture a personale e docenti e anche rispondere alle domande di alloggio che gli studenti richiedono mi fa sentire il peso e la necessità di dare di più per portare in porto queste che sono situazioni sicuramente migliorabili.
Se le dico “non si finisce mai di imparare”, cosa mi risponde?
C’è un tema che diventerà sempre più importante e sul quale dovremmo impegnarci sempre di più: la formazione permanente. Generalmente viene pensata come formazione professionale permanente: uno si laurea e durante la sua vita fa corsi di aggiornamento sulla sua materia. Ma la formazione permanente ha una valenza anche culturale. L’università una volta accoglieva i diciannovenni e li portava alla laurea e arrivederci, ora invece cerchiamo di accompagnarli fuori nel mondo del lavoro, aiutandoli ad inserirsi e ad essere attivi. Questo anche come cittadini che hanno delle curiosità e vogliono conoscere nuovi ambiti, perché la cultura è veicolo di valori anche fondanti della nostra società e mi pare che in questo momento storico sia indispensabile proporli.
Nel salutarci carpisco ancora una curiosità: a Deflorian piacciono molto i Paesi scandinavi e l’Islanda è una meta preferita. Una passione che ha contagiato tutta la famiglia tanto che una figlia ha fatto l’Erasmus proprio lì. Il rettore si interessa di storia e letteratura islandese e si aggiorna costantemente… insomma dà il buon esempio, perché per tutti c’è un mondo di cose da imparare.
Alessandro Cagol