Martedì 21 gennaio è stato inaugurato il nuovo corso di formazione organizzato da Azione cattolica e Scuola Diocesana di Formazione Teologica con la prima di quattro serate sul tema “Spiritualità in movimento”. Ospite il sociologo Luca Diotallevi, con “Il contesto ci sfida”.
La spiritualità è in movimento, come afferma la Presidente diocesana Fabiola Andrighettoni, perché cambia nel tempo e nello spazio, ma particolarmente oggi, in cui la ricerca spirituale e la domanda di interiorità è forte ma non sembra intercettata dalle forme tradizionali di accompagnamento della Chiesa. In movimento perché, come ha esposto il sociologo umbro Luca Diotallevi, siamo in un “tempo raro”. Mai come ora le condizioni sociali favoriscono il fenomeno delle nuove spiritualità; ma questo fenomeno viene da lontano (dall’undicesimo secolo, con la crisi della polis romana e il tentativo di risolverla con la civitas, su cui si fonda la cultura occidentale) e non sappiamo dove ci porterà.
L’approccio sociologico con cui Diotallevi ha guidato i partecipanti, riuniti in presenza al polo culturale Vigilianum e collegati in streaming, non intendeva rivelare verità o soluzioni, ma offrire un contributo di analisi e traduzione del contesto, che è di secolarizzazione ma allo stesso tempo di grande boom religioso. Infatti, il calo di chi va a messa va pari passo con l’aumento di chi fa o cerca qualcosa di equivalente, non come surrogato, ma come esperienza individuale, svincolata dalla pratica religiosa tradizionale e sullo stesso piano di altri beni di consumo, che vengono scelti tra tante possibilità in base all’opportunità e al piacere che ne può derivare per il singolo.
Si assiste quindi ad uno sbilanciamento tra domanda e offerta, nel senso che la ricerca di spiritualità, nelle forme nuove e non necessariamente assimilabili alla religione o ad una vita di fede, prevede che io “consumatore” scelgo quella forma di trascendenza che mi ispira (possibilimente saltuaria e poco impegnativa, che suscita piacere ed emozioni positive) tra le tante, mentre le offerte religiose sono tutte sullo stesso piano, cercano di confezionare proposte appetibili e attraenti e si contendono il “mercato religioso”.
Questo contesto ci sfida, perché il “consumo religioso” si pone necessariamente all’esterno delle forme tradizionali di spiritualità ed è frutto della modernizzazione, in cui ogni sfera sociale (politica, economica, familiare, educativa…) è differenziata e ha regole proprie, tra loro incompatibili, inconciliabili; e le persone si trovano costrette a scegliere a cosa credere, aderire, uniformarsi. La sfida però è anche in senso positivo: Diotallevi sottolinea che la modernizzazione non è un fenomeno di oggi, ma ha attraversato la storia e le culture occidentali per almeno dieci secoli e può essere culla e germe di bene, perché esalta le società aperte e la libertà individuale, presupposti adatti per far crescere persone responsabili, pensose, aperte al cambiamento e in grado di scegliere la verità.
La domanda religiosa fortemente personalizzata si traduce nella frammentazione del trascendente, in cui la domanda è consumare pezzetti di spiritualità spiluccandoli qua e là, a proprio gusto, e l’offerta diventa commerciale, estremamente diversificata ma poco esigente, per essere alla portata di quanti più destinatari possibili.
Come risponde la Chiesa? Affermando che “libertà e fede possono camminare insieme (come elaborato nel Concilio Vaticano II), senza ridurre l’impatto formativo”, che richiede fatica e continuità, pazienza e autorevolezza. È il valore della scelta religiosa (in Azione cattolica e più in esteso nella realtà ecclesiale a partire dagli anni ‘70), che si traduce in “appartenenza non effimera, libera, responsabile”, in cui si sceglie di “stare vicini tra diversi”; di costruire insieme luoghi educativi, in cui il laico adulto dedica il poco tempo che ha ad educare i giovani in parrocchia, “con dolcezza, fermezza e disciplina”; di “dare l’esempio mostrando la propria povertà, la capacità di cadere e rialzarsi”; di essere “comunità ecclesiale di persone libere, che stanno bene insieme ma riconoscono i reciproci limiti, non fingono, si soccorrono, si aiutano a camminare insieme e a rendersi liberi”.