“La spiritualità ti riporta a casa, tiene insieme la tua vita e le parti diverse di te”, afferma la teologa Lucia Vantini nel secondo incontro del corso “Spiritualità in movimento” organizzato da Azione cattolica e Scuola Diocesana di Formazione teologica di Trento.
La spiritualità ci mette insieme, ci tiene in movimento, ci edifica ma soprattutto ci coinvolge, perché “attrae, trascina in un circolo virtuoso benefico” di ricerca dell’identità nella profondità di sé, nell’intimità, “in risonanza tra il soggetto e il mondo”.
La teologa veronese – che nella sua diocesi è anche delegata vescovile della Pastorale della prossimità e a livello nazionale è presidente del Coordinamento delle teologhe italiane – fissa con chiarezza e passione alcuni punti fermi: il primo, che la spiritualità passa attraverso l’esperienza affettiva, intrecciando la dimensione corporea (in tutta la sua complessità) con quel senso di mistero e di percezione del sacro che si può chiamare Dio. Quindi “Dio c’entra con quel che sto provando, con le nostre esperienze” e “la spiritualità guida il percorso di fioritura fisico, psichico ed esperienziale”, ci attira e ci cambia nei legami e nei rapporti con il mondo e con Dio.
Un altro aspetto di movimento e di complessità è il dualismo tra spiritualità e religione: la religione ha deluso e non dà più risposte; la realtà ci dice che siamo in pochi, che la fase della tradizione cristiana sta finendo e che “non siamo più soli a parlare di Dio”: è necessario abitare questo cambiamento e aprirsi al dialogo, essere attenti alla dimensione del sacro dentro la secolarizzazione, lasciarsi interrogare da questi “orizzonti diversi” di spiritualità in ambiti inediti (“spiritualità imprevista” legata a pratiche di rilassamento e benessere, alla psicologia e alla connessione con la natura, soprattutto nelle giovani generazioni). Vantini afferma che “abbiamo bisogno di essere spirituali ma non religiosi”: essere religiosi “non ci fa fiorire, non ha mantenuto le promesse, è causa di attrito con i giovani”; è necessario “non perdere quel che conta, tenere quel che ci sta a cuore, salvaguardare la coscienza”.
C’è poi la distanza tra le nuove forme di spiritualità e la spiritualità cristiana. La prima è “concentrata sul ritrovare se stessi, per assaporare la vita e interrompere le pressioni e le tensioni che non mi fanno sentire all’altezza”. È incentrata sulla libertà personale, ma con il rischio di “restare soli”, del “narcisismo che ha il volto dell’arroganza, dell’orgoglio ma anche della fragilità e incapacità di accettare i limiti, la fatica, i fallimenti”, con il pericolo di essere “sprovveduti” e “manipolabili da una politica che governa l’opinione pubblica e ti fai dire chi devi votare, odiare, in cosa credere, da chi stare lontano”; Dio è “indefinito, senza volto, impersonale”. La spiritualità cristiana invece “è pasquale, non promette di stare bene ma è tensione tra la luce e l’ombra”, per “abitare le croci e le tensioni sapendo che non sono l’ultima parola”.
Infine, emerge l’esigenza di “restituire alla fede il mistero”, perché la spiritualità non è contrapposta alla religione e la fede è un’importante chiave di lettura del mondo; “nel cristianesimo le storie che si intrecciano raccontano quel che viviamo”, sono “tesoro, scrigno di cui abbiamo perso la chiave”. Vantini sottolinea efficacemente che “non importa usare il nome di Gesù, ma amare in modo sconfinato, attraversare la morte sperando, essere dentro la logica della Pasqua” e percepire che Dio ci parla anche attraverso le nuove spiritualità, attraverso le voci che non coincidono con la nostra.
È la “spiritualità del cammino”, del “non alzare muri e non chiudere porte rispetto alle voci altre”; è percepire che c’è “qualcosa di più grande che ti chiede una trasformazione”; è non sentirsi a posto, lasciarsi inquietare e prendersi cura, perché “la prossimità fa la differenza”. È la spiritualità nella sua dimensione comunitaria, che “accade mentre le persone stanno insieme”, come intreccio di storie e possibilità in cui seminare e fiorire.