dall’intervista della segretaria diocesana Alessandra sul tema della ricerca Toniolo sui giovani e la fede (rapporto 2024) pubblicata su Camminiamo Insieme estate 2024
L’Istituto Toniolo ha pubblicato recentemente i risultati di un’interessante indagine sulla spiritualità dei giovani oggi: ne parliamo con Cecilia Cremonesi, incaricata per la Pastorale giovanile in Diocesi, che ha collaborato alla ricerca.
Diamo un’idea del senso di questa ricerca, Cecilia…
La ricerca ha preso l’avvio da una domanda: «Perché vi siete allontanati dalla Chiesa?». A fronte di un evidente continuo allontanarsi dei giovani dalla Chiesa e dalla pratica religiosa, il gruppo di ricerca si è dato l’obiettivo di ascoltare i giovani per tentare di comprendere le motivazioni dell’allontanamento. Come metodo, si è scelto di non ricorrere al questionario (da compilare, per raccogliere informazioni, da analizzare…) ma di privilegiare l’intervista, che – anche se condotta on line – permette una presa più diretta, un incontro personale; è luogo di ascolto reale e profondo.
E’ stato molto impegnativo per entrambe le parti, molto coinvolgente, molto ricco nei risultati.
Quali le dimensioni?
Abbiamo interpellato giovani che si sono allontanati da un contesto parrocchiale o comunque hanno preso le distanze dalla religione cattolica, tra di loro anche giovani che erano stati molto impegnati. Età tra i 18 e i 29 anni, selezionati su tutto il territorio nazionale, per un totale di 100 soggetti.
Con un altro gruppo, costituito da chi ha invece mantenuto un rapporto costante e intenso con la realtà ecclesiale, abbiamo organizzato dei focus-group: coinvolti qui 91 giovani, sempre su territorio nazionale.
Abbiamo posto alcune domande sul loro percorso, chiedendo un “racconto di vita”, e abbiamo ascoltato le ragioni delle loro scelte, sollecitando una valutazione di ciò che hanno vissuto, aspetti positivi e negativi.
Cosa ha rappresentato per te?
Un’esperienza potente, inaspettata. Li ho trovati sinceri, schietti, ruvidi – come sanno essere. Non era scontato. Era come se aspettassero che qualcuno bussasse alla loro porta, per poter consegnare i propri pensieri.
Ho molto riflettuto sull’importanza dell’ascolto: forse non lo facciamo abbastanza. C’è molto più di quello che appare, in loro: ci sono ragioni, pensieri, vissuti, ricerca, desideri.
I loro racconti: cosa è emerso?
In tanti nostalgia per belle esperienze fatte all’interno della comunità cristiana. E’ forte il ruolo che le riconoscono, nel bene e nel male: per molti è stata una bella esperienza, li ha costruiti come persone, rimane come un patrimonio da spendere. Ma l’esperienza della comunità a un certo punto non basta più: momento cruciale, per molti, i 15/16 anni, quando si diventa più pensosi, più critici. A quel punto non hanno trovato figure di riferimento: adulti capaci di sostenere la ricerca, di accogliere anche le provocazioni, di saperle incanalare.
La loro ricerca però continua: allontanarsi dalla Chiesa non è necessariamente allontanarsi dalla fede.
Quale immagine hanno di Dio e della/e religioni?
Dio è oggetto della loro domanda e ricerca: è un’entità indefinita, non ha un volto, una storia, una fisionomia. Resta non-definito. Non è il Cristo della rivelazione.
Le altre religioni paiono loro interessanti, incuriosiscono, ma non sembrano essere decisive. Un’immagine che abbiamo usato, di una ragazza in meditazione in mezzo alla natura, è piaciuta molto e l’hanno indicata come la più adatta per rappresentare la vita spirituale; ma questa s’intende estesa un po’ a tutte le religioni.
La loro ricerca è estremamente aperta. Sicuramente rifiutano schemi, chiusure, direzioni uniche. Ed è una ricerca solitaria, spesso svolta in autonomia, molto personale. Possiamo dire che pensano a un Dio a propria misura, concepito in modo un po’ intimistico.
immagine ragazza nella natura
Quali le domande più difficili da affrontare, per loro?
Domande inquietanti davanti alla morte, domande di senso davanti al creato, nel momento in cui suscita stupore e meraviglia.
Qualcuno si è chiesto: “con chi ne parlo?”.
Se c’è una famiglia alle spalle, può a volte essere un buon interlocutore; altrimenti rimane poco. Anche i coetanei sono poco presenti, su questo fronte. E’ come se non ci fosse una casa…
Come rileggi tu il quadro che emerge?
Credo che, pur con le migliori intenzioni, si tenda a proporre una risposta, mentre loro sono aperti a tante risposte; sono davvero in ricerca e aspettano qualcuno che sia disposto a cercare con loro.
Lo sguardo adulto rischia a volte di essere giudicante. Invece c’è bisogno di mostrare che lasciamo risuonare le loro domande, le portiamo avanti con loro (forse le loro sono anche le nostre domande, se impariamo ad ascoltarci con sincerità!)
Fondamentale è un atteggiamento di ascolto autentico: stare insieme, tanto, e camminare insieme. Gratuitamente: non per portarli dove siamo noi, ma per trovare insieme vie e risposte, nuove magari.
Noi facciamo molto conto sulle proposte di “gruppo”, ma forse, a un certo punto del cammino, è questa dimensione personale e individuale che è decisiva, per una fede consapevole e matura.
Qualche considerazione rivolta alla pastorale giovanile?
E’ evidente che noi raggiungiamo una minima parte dei giovani: e di questi dobbiamo ancor più prenderci cura “bene”, con un maggiore impegno ad esempio nell’accompagnamento personale.
Altra sollecitazione si rivolge alla formazione di una solida vita interiore: il momento della preghiera, quando viene curato, lascia il segno, sempre. La trascuratezza e la superficialità no.
Proponiamo pochi momenti piuttosto, ma ben fatti: occasioni di silenzio, di deserto, di riflessione per fare il punto su di sé.
Cosa conservano, cosa rifiutano della loro esperienza passata?
Torno all’ultimo aspetto che accennavo: ricordano l’intensità di spazi di preghiera differenti, con linguaggi e modalità più adeguati a loro, meno tradizionali. La preghiera all’aperto ad esempio, sotto le stelle, con compagni che la condividono con te… Sicuramente forte è la componente emotiva: c’è da chiedersi se sappiamo coglierla, incanalarla, valorizzarla. Forse ci è chiesto un “di più” di creatività: ne siamo capaci? È una sfida da cogliere!
Rifuggono invece tutto quello che sa di costrizione: quando si respira l’obbligo è finita, li perdiamo… La Messa ad esempio la vivono poco e non la comprendono. Ma noi tendiamo ancora a volerli “portare” lì, prima di tutto lì.
Della formazione nella catechesi rimane molto poco dal punto di vista dei contenuti, quasi niente. Mentre l’ambiente parrocchiale fa la differenza: se è positivo lo custodiscono come un valore, se è negativo se ne allontanano il prima possibile.
La gratitudine resta, e quello che hanno sperimentato diventa un bene che sanno spendere in altro modo, là dove sono, così come sono oggi (nel volontariato, negli impegni della vita, nella serietà sul lavoro). Ci sono atteggiamenti che hanno assimilato e portano con sè, come l’attenzione agli altri, la capacità di introspezione, la bellezza del fare cose insieme.
E sul fronte dei giovani che invece rimangono?
Li abbiamo incontrati in piccoli gruppi, dove si sono espressi e confrontati:
chi è rimasto ha scelto per il valore della relazione, del gruppo, dell’amicizia che si è creata. Ma le domande di senso sono le stesse di chi si è allontanato, la ricerca è aperta, rimane aperta anche per loro.
Hanno la consapevolezza di essere una minoranza delle minoranze; si chiedono dove sono gli altri cattolici… ed è una fatica perché si vedono restringere il campo delle persone con cui è possibile crescere, confrontarsi, camminare.
Quali segni di speranza ti sembra di scorgere?
Abbiamo colto in molti una certa disponibilità: “mi rimetterei in gioco, se ce ne fossero le condizioni”, con il sottinteso che frequenterebbero ambienti più liberi.
Non sono spenti dentro: c’è ricerca e autentico bisogno. E la loro ricerca in solitudine, la loro domanda inespressa rischia di diventare drammatica.
Fanno fatica con la Chiesa come istituzione ma non sono superficiali: i loro sono allontanamenti pensati e ragionati, in loro ci sono grandi potenzialità e risorse.
Alla fine molti hanno ringraziato, per una esperienza che comunque è stata impegnativa (45/90 minuti di colloquio, andando in profondità, toccando anche corde emotive): l’hanno trovata un’importante occasione di rilettura della loro vita, che non avevano consegnato prima a nessuno, che nessuno aveva mai chiesto loro.
E’ un forte appello al mondo adulto, che è importante raccogliere.
Cecilia e Alessandra
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La pubblicazione dell’inchiesta dell’Istituto Toniolo è curata da Paola Bignardi e Rita Bichi e porta il titolo molto efficace «Cerco, dunque credo? I giovani e una nuova spiritualità».
La presentazione dei dati è affidata a un team di esperti con sensibilità molto diverse e varie competenze, che interpretano e commentano ciò che i giovani hanno consegnato.
Si parte da un inquadramento del metodo della ricerca, si analizzano le ragioni dell’allontanamento dalla Chiesa, si approfondiscono alcuni punti nodali e si provano a raccogliere le sfide e le provocazioni che la ricerca rilancia.
Le conclusioni sono affidate alla stessa Paola Bignardi e una postfazione offre invece la riflessione di mons. Giuliodori, assistente di Ac e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.