I presupposti biblici del Giubileo

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pubblicato su Camminiamo Insieme ottobre 2024

La parola “giubileo” ha origine ebraica: deriva da jobel, che era il corno di montone che la legge mosaica prescriveva di suonare ogni 50 anni per annunciare l’inizio di un anno santo dedicato al Signore. Quell’anno si doveva vivere nella giustizia e nella pace e nella ritrovata armonia dei rapporti umani e con la natura (leggi Lv 25,8-13).

Qual è il senso del giubileo? Per gli ebrei storicamente non venne mai realizzato e restò come un desiderio della redenzione che avrebbe recato il Messia. Per gli ebrei celebrare il giubileo voleva esprimere la volontà di ritrovare quell’ordine nella creazione che Dio da sempre ha voluto; il giubileo allora supponeva: la riaffermazione del primato di Dio; la promozione dei diritti dei più poveri e degli emarginati; un’attenzione concreta alla natura.
Gli ebrei però non hanno mai celebrato un giubileo. Perché noi cristiani lo celebriamo?

Per celebrare in modo solenne un anno santo, in cui far memoria di quell’avvenimento storico che è la nascita di Gesù di Nazaret (per questo il Giubileo prende inizio dalla festa del Natale del Signore Gesù), nel quale noi crediamo si dia l’Incarnazione del Figlio di Dio, inizio della nostra salvezza. Il Giubileo celebra l’avvenimento con il quale Dio entra nella nostra storia, si rende protagonista nella nostra vita (cfr. Gal 4,4) per farne definitivamente una storia di salvezza e di pace.
Con la venuta del Figlio di Dio sulla terra infatti, il nostro tempo, iniziato con la creazione, ha raggiunto la sua pienezza, cioè il suo vertice. Dalla nascita di Gesù la storia umana non è più quella di prima, ma è iniziato “il tempo escatologico”, ossia definitivo, quello che ci dà il senso e il fine del nostro vivere. L’azione di Dio a favore degli uomini conosce una nuova modalità di realizzazione: non solo Dio comunica agli uomini “parole” che aiutano l’umanità a costruire una società planetaria secondo verità, giustizia, fraternità e libertà, ma Dio stesso si comunica agli uomini e proprio Lui si fa uno di noi per dare avvio ad una nuova umanità che ha nell’amore il principio costitutivo, nella comunione fraterna la modalità di vita e nel Regno di Dio il suo fine.
A questo proposito sarebbe utile confrontare la predicazione di Giovanni Battista, il precursore, con quella di Gesù. Mentre Giovanni predicava un battesimo di penitenza e di conversione dai peccati – dal momento che ormai la scure è posta ai piedi degli alberi che non danno frutto (leggi Lc 3,1-18) – Gesù afferma che ormai con Lui si inaugura per tutti l’anno di grazia di Dio Padre, grande nella misericordia e nel perdono (leggi Lc 4,16-22).

«Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di misericordia del Signore, un giorno di vendetta per il nostro Dio, per consolare tutti gli afflitti, per allietare gli afflitti di Sion, per dare loro una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, canto di lode invece che un cuore mesto» (Isaia 61,1-3a).

Tutta la vita pubblica di Gesù è un continuo annunciare con le parole e con le opere che Dio ama tutti gli uomini e tutti vuole salvi; la sua passione e morte di croce sarà letta dai suoi discepoli alla luce della risurrezione come l’atto supremo di amore, che solo può trarci fuori dalla situazione permanente di conflitto, di sofferenza e di morte che il peccato produce nella nostra storia. La vittoria del bene sul male, dell’amore di Dio sul nostro peccato è riconosciuta non in base a ragionamenti umani, perché – come dice Paolo (1Cor 1) – la croce è o scandalo o stoltezza sia per gli ebrei (persone religiose) che per i greci (persone intellettuali). Ma lasciandoci illuminare e guidare dallo Spirito Santo, che conosce le profondità di Dio, può veramente renderci certi di questa verità: l’ultima parola sulla mia vita disgraziata è la parola di Dio, del Dio che ama appassionatamente, gratuitamente e incondizionatamente ogni uomo, perciò anche me.

Per il fatto che nella storia umana è entrato Dio con un’azione di salvezza a nostro favore, allora il tempo ha per i cristiani un’importanza fondamentale: esso è storia della salvezza. Da ciò ne consegue per noi cristiani il dovere di santificare il tempo, cioè di riconoscere il valore che al nostro tempo ha conferito Dio stesso. Per questo il sacerdote all’inizio della solenne Veglia pasquale, benedicendo il cero, simbolo di Cristo risorto, pronuncia queste parole: «Il Cristo ieri e oggi, Principio e Fine, Alfa e Omega. A Lui appartengono il tempo e i secoli. A Lui la gloria ed il potere per tutti i secoli dei secoli. Amen». Il significato della benedizione è chiaro: Gesù Cristo è il Signore del tempo; ogni anno, ogni giorno, ogni attimo gli appartiene; il nostro vivere e anche il nostro morire, tutto di noi è abbracciato dal suo amore che redime, salva e santifica; il nostro tempo è collocato in Dio e perciò nulla è perduto con Gesù.

Per questo la Chiesa vive il tempo cosmico come tempo liturgico, durante il quale rivive i momenti salienti della vicenda umana del Figlio di Dio incarnato: la preparazione della venuta del Messia in Israele, la nascita di Gesù, la sua vita pubblica, gli ultimi giorni di passione e morte, la sua gloriosa risurrezione, l’ascensione ed infine l’effusione dello Spirito Santo che, donato ai cristiani, permette di superare il tempo che ci separa dalla vicenda storica di Gesù, per sentire nel profondo della vita la forza, la grazia e l’energia della sua azione di salvezza. Tutta l’attività di Gesù, culminante nel mistero pasquale di morte di croce e risurrezione, è tempo di grazia, è storia della salvezza e noi la celebreremo con prospettive di vita nuova lungo tutto il nuovo Giubileo che inizierà con il prossimo Natale del Signore Gesù.

don Giampaolo