intervista pubblicata su Camminiamo Insieme ottobre 2025
dall’addetto stampa Alessandro Cagol all’interno della nuova rubrica “ComunicAzione”
Carissimi, dopo la rubrica in cui si sono susseguite interviste nei vari campi della società trentina, inizia una nuova avventura: personaggi con ruoli molto diversi ma legati ad un tema centrale, ovvero l’informazione egli strumenti informativi, il modo di comunicare secondo un’etica e coscienza e verità. Inizio, come feci l’anno scorso, con un sacerdote.
Ordinato nel 1981, mons. Giulio Viviani, classe 1956, nativo di Pinzolo, prima è cappellano del Duomo di Trento e cerimoniere in Cattedrale per poi essere destinato alla parrocchia di Nomi. Durante il suo mandato studia a Padova e Roma dottorato in Liturgia e dopo poco tempo viene chiamato ad uno degli incarichi più prestigiosi nella Chiesa, cerimoniere del Santo Padre. In oltre 17 anni numerosi i viaggi internazionali di mons. Viviani al seguito di Papa Karol Wojtyla e poi di Benedetto XVI. Nel 2010 torna in Diocesi, dove è parroco del Santissimo Sacramento e assistente ecclesiastico di Azione cattolica. Nel 2021 viene chiamato ad amministrare la parrocchia di Mezzocorona e Roverè della Luna, dove si trova tutt’ora. Iscritto dal 1993 all’ordine dei giornalisti, Viviani è attualmente anche assistente UCSI (Unione Cattolica della Stampa Italiana).
Sempre la persona al centro
Fare informazione è sempre più difficile oggi. Quali a suo giudizio le regole da mantenere?Anzitutto il rispetto della persona, perché oggi al centro di ogni notizia c’è sempre un essere umano e spesso ci si dimentica di questo, soprattutto quando si ha a che fare con tragedie dell’umanità o con violenze familiari o con notizie di Chiesa.
Spesso si fa passare l’istituzione al di sopra della persona.
I social informano, ma non mancano le fake news.
I social sono molto utili perché trasmettono immediatamente le notizie, però impediscono il dialogo autentico tra le persone che è ancora la base di tutto. Da liturgista dico che i sacramenti non si possono celebrare con i social, non si può confessarsi per telefono o partecipare ad una eucaristia in modo virtuale… e così anche nella vita. Abbiamo sostituito il rapporto “cuore a cuore” con un rapporto virtuale, che spesso nasconde la persona anziché rivelarla.
La Chiesa Trentina ha un settimanale diocesano, un ufficio stampa e giornalisti che cercano di diffondere una corretta informazione anche quotidiana. Cosa si potrebbe fare di più?
Non credo occorra fare di più, ma forse bisognerebbe fare meglio.
Non come giudizio negativo su quello che viene fatto, ma ho un problema che mi pongo tutti i giorni: noi comunichiamo ancora con le locandine, con i foglietti settimanali, con il periodico della parrocchia, ma non sono più questi i mezzi.
Purtroppo a quasi 70 anni vedo che non sono capace di vivere e operare con i nuovi media che sono il modo di comunicare oggi. Bisogna intensificarne l’utilizzo, ma sempre con al centro la persona.
Nei giovani ma anche nei trentenni c’è una certa ignoranza politica e anche religiosa. Una società nuova con altri interessi?
I giovani d’oggi sono un grande rebus, perché da una parte hanno grande necessità di colloquio e di incontrare persone serie e credibili, ma dall’altra fuggono nelle realtà virtuali. Lo vediamo sia nella Chiesa che nella politica. Ci sono giovani che si impegnano anche nel sociale ma sono pochi. Io la sera quando vado a dormire penso sempre cosa ho fatto per le future generazioni; per gli anziani so come impegnarmi, ma in ambito giovanile trovo difficoltà e mi domando come e dove incontrarli.
Come giudica negli ultimi 40 anni l’informazione in Vaticano?
Direi che l’informazione della Santa Sede è sempre incentrata sul Papa. So che è un giudizio critico, ma la Chiesa non è il Papa e il guaio è questa confusione…
È vero che il Papa ne è il massimo esponente, e noi abbiamola fortuna come cattolici di avere un punto di comunione e di unione con il Papa, cosa che i protestanti non hanno e nemmeno gli ortodossi. Però a volte si informa dicendo: “il Papa ha detto, il Papa ha fatto…”, ma c’è una Chiesa che è molto più grande del Papa e in questo l’Osservatore Romano è molto attento alle dimensioni della Chiesa nelle varie parti del mondo, dove ci sono sofferenze o fatiche.
La Chiesa come popolo di Dio dovrebbe trovare più spazio nei media sia del Vaticano che delle diocesi nel mondo.
Affrontiamo il tema dell’informazione in territori di guerra come Ucraina o Gaza. Lei che idea si è fatto?
Come sempre la comunicazione è in mano ai grandi poteri economici e a volte ci fanno sapere quello che a loro interessa. Oggi anche attraverso molti giornalisti bravi, capaci e coraggiosi veniamo a conoscere e vedere le cose come veramente stanno; questo comporta però il rischio di essere bombardati dalle notizie e diventa tutto come un romanzo che leggi e poi scivola via.
Il rischio principale è l’assuefazione, la rassegnazione su un qualcosa che non ci riguarda.
L’omelia di un sacerdote: come pensa debba essere questa occasione di comunicazione ai fedeli?
Quando facevo il professore di omiletica insegnavo che l’omelia è uno dei momenti più seri della vita di un sacerdote o diacono: bisogna prepararsi. Altrimenti capita come con alcuni giornalisti che scrivono senza essere preparati e dicono fesserie… bisogna tornare allo stile della documentazione.
Nell’omelia si rende necessario esprimersi con cognizione di causa e in poco tempo. Oggi questa forma del parlare in forma diretta e senza risposte immediate non è più la migliore, ma la liturgia è parte integrante della celebrazione eucaristica e ci vuole stile.
Come ci raccomanda il nostro Arcivescovo, bisogna trovare occasioni per meditare insieme la Parola di Dio confrontandoci. Io lo sto sperimentando un buon riscontro con le meditazioni del Vangelo proposte alla comunità il lunedì sera, per poi comprenderlo meglio la domenica. Questa può essere la nuova modalità per far accostare i fedeli alla Parola di Dio e di farla vivere anche nella Messa domenicale.
Alessandro Cagol