Cristiani presenti nel mondo e nella storia

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La meditazione dell’assistente diocesano don Giulio Viviani alla IV Giornata di spiritualità per laici a Lavis, oggi sabato 17 febbraio.

AZIONE CATTOLICA – Giornate di spiritualità 2017/2018

VIVERE IL VANGELO OGGI – essere comunità accoglienti alla luce dell’Evangelii Gaudium

4. Presenti nel mondo e nella storia

Lavis, sabato 17 febbraio 2018 – Proposta di riflessione di don Giulio Viviani

Anche in questa giornata di spiritualità, all’inizio della Quaresima, partiamo da una bella immagine evocativa. Si trova nella cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico Vaticano. Padre Marko Ivan Rupnik, gesuita, in questa che è stata la sua prima grande opera, che lo ha reso noto, ha voluto rappresentare simbolicamente la discesa e la presenza di Cristo nel mondo e nella storia con una scena particolare e molto suggestiva ed evocativa.

Quando illustra la discesa del Verbo, sulla parete destra, nella parte superiore del mosaico, descrive la Presentazione di Gesù al Tempio (Lc 2, 22-38): Cristo portato da Giuseppe e Maria nel Tempio è affidato a Simeone e Anna, che srotola la profezia; Simeone con gli occhi marcati dice: “I miei occhi hanno visto la salvezza”. Di per sé, la scena vuol indicare la sottomissione del Verbo alla legge di Mosè, alla legge ebraica. Cristo entra nel Tempio di Gerusalemme, nel luogo santo della presenza di Dio – potremo quasi dire che va a casa sua – e assume tutta la realtà dell’Antico Testamento, di tuttala storia della salvezza. Quante volte i Vangeli ci testimoniano la presenza di Gesù nel Tempio per pregare, per insegnare, per purificare il culto, per incontrare la gente. Gesù non disdegna quel luogo, ma non vi rimane chiuso, quasi prigioniero di un luogo impenetrabile alle genti e impermeabile alle vicende del mondo e della storia, cioè dell’umanità vivente.

Dall’altro lato, appunto come corrispettivo, a sinistra, vediamo che Cristo non rimane lì ma esce dal Tempio, diventa lui la nuova porta del Tempio, diventa Tempio lui stesso – come egli affermerà (Gv 2, 18-22) –, e con mani grandi – che indicano la generosità e la misericordia divina – si apre come per abbracciare la cananea, rappresentante delle genti, la donna che nel Nuovo Testamento viene sempre dipinta con il cagnolino e le briciole sotto il tavolo (Mt 15, 21-28). E il tavolo è imbandito con il pane e i pesci, simbolo dell’abbondanza che Cristo ha portato nel segno della moltiplicazione. Cristo come Logos, come Verbo di Dio, supera la legge di Mosè e la compie nell’apertura universale della salvezza rivolta anche ai non ebrei. Non rimane chiuso nel Tempio come quella “antica presenza” quasi nascosta nel Santo dei Santi. Cristo esce fuori dal Tempio e si immerge nel mondo e nella storia.

In quel singolare mosaico di Padre Rupnik è raffigurato il momento in cui Cristo è presentato al Tempio; ma Cristo, appunto non rimane nel Tempio. Subito esce fuori dall’altra parte; esce per andare a portare il Vangelo, ad offrire salvezza a quanti vivono nelle tenebre e nell’ombra della morte. Un invito anche per noi a non rimanere chiusi nelle nostre chiese, ma a portare fuori la luce di Cristo, come Maria e gli apostoli. Come Simeone e Anna, che sapevano rimanere sulla soglia del Tempio, per incontrare chi entrava e usciva, per riconoscere la presenza di una luce più vivida, la luce di Cristo, la luce di Dio e annunciarla a tutti. Ecco il nostro modello e il nostro esempio, la nostra icona e il nostro prototipo di Cristiani. Essere così presenti nel mondo e nella storia, come sale, come lievito, come luce, come porta spalancata.

Continuiamo, allora – siamo alla IV tappa – il nostro itinerario in riferimento alla EG di Papa Francesco nella consapevolezza di portare il Vangelo della Gioia, come Chiesa in uscita composta da discepoli-missionari che sono sempre presenti nel mondo e nella storia.

In questo anno associativo noi non possiamo dimenticare l’immagine di Gesù che proprio in quel Tempio di Gerusalemme osserva la povera vedova che dà “tutto quanto aveva per vivere”, ma anche i ricchi (Mc 12, 35.38-44): “Insegnando nel Tempio,… Gesù diceva loro nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa». Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere»”. Quale è allora il nostro sguardo da coltivare come cristiani sulla storia e sul mondo? È quello di Gesù? Come guardiamo; con quali occhi, con quale cuore, con quale luce, con quale intelligenza? Cosa vediamo?

Questo è anche il grande richiamo, l’indicazione che papa Francesco ci offre, essere Chiesa in uscita, essere ospedale da campo, essere sulle strade per poterle attraversare e per essere presenza, con il rischio di finire incidentati! Lo abbiamo già meditato ma lo riprendiamo il bel testo di EG 49: «Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo…: preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. … Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6, 37)».

Il richiamo per noi oggi è anche quello di dare tutto (non le cose ma noi stessi, la nostra fede, le nostre convinzioni) soprattutto alle nuove generazioni. Il prossimo Sinodo dei Vescovi su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” ci invita a prenderci cura dei giovani offendo loro la nostra fede come “partecipazione al modo di vedere di Gesù, come fonte del discernimento vocazionale”. In quest’epoca storica, in questo mondo ci è chiesto un “ruolo da adulti degni di fede… credenti autorevoli, con una chiara identità umana, una solida appartenenza ecclesiale, una visibile qualità spirituale, una vigorosa passione educativa e una profonda capacità di discernimento” (Documento preparatorio).

Al riguardo del nostro essere nel mondo e nella storia Gesù nel discorso dell’ultima cena, che ci accompagna nei prossimi giorni della settima santa, è molto esplicito quando prega per noi (Gv 17, 12-21): “Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità. Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato”.

Così titola un capitolo anche il nostro Progetto educativo di AC Perché sia formato Cristo in voi: “Nel mondo ma non del mondo”: «Il mondo non è una realtà “nonostante la quale” viviamo da cristiani, ma quella attraverso cui camminiamo verso Dio, che non è estraneo al mondo in cui ci ha donato di vivere” (p. 46). Questo anche il senso delle nostre Giornate di Spiritualità per evitare il rischio segnalato da Papa Francesco: “Si confonde la vita spirituale con alcuni momenti religiosi che offrono un certo sollievo ma che non alimentano l’incontro con gli altri, l’impegno nel mondo, la passione per l’evangelizzazione”! (EG 78). Il mondo e la storia attendono la nostra presenza concreta, affettuosa e operosa di laici cristiani, perché come scrive il filosofo Paul Ricoeur: “Nel mondo è più grande il dolore del male”! Quel dolore e quelle sofferenze, fatiche e sacrifici, che sono un terreno fecondo in cui declinare la nostra presenza nel mondo e nella storia.

Riascoltiamo anche il passo famoso della Lettera a Diogneto che fin dai primi secoli delinea il ruolo del cristiano nel mondo e nella storia: «I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati ed onorano. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. Dai giudei sono combattuti come stranieri, e dai greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbero dire il motivo dell’odio. A dirla in breve, come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani. L’anima è diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle città della terra. L’anima abita nel corpo, ma non è del corpo; i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo. … L’anima immortale abita in una dimora mortale; anche i cristiani vivono come stranieri tra le cose che si corrompono, aspettando l’incorruttibilità nei cieli. Maltrattata nei cibi e nelle bevande l’anima si raffina; anche i cristiani maltrattati, ogni giorno più si moltiplicano. Dio li ha messi in un posto tale che ad essi non è lecito abbandonare».  

Lo traduce per noi con le sue parole Papa Francesco in EG (176): «Evangelizzare è rendere presente nel mondo il Regno di Dio. Ma nessuna definizione parziale e frammentaria può dare ragione della realtà ricca, complessa e dinamica, quale è quella dell’evangelizzazione, senza correre il rischio di impoverirla e perfino di mutilarla. Per questo vorrei condividere le mie preoccupazioni a proposito della dimensione sociale dell’evangelizzazione precisamente perché, se questa dimensione non viene debitamente esplicitata, si corre sempre il rischio di sfigurare il significato autentico e integrale della missione evangelizzatrice».

E quindi, in alcuni brani che seguono, il Papa spiega, questo compito che la Chiesa continua nel contatto con le persone dentro il mondo e la storia: «Gesù stesso è il modello di questa scelta evangelizzatrice che ci introduce nel cuore del popolo. Quanto bene ci fa vederlo vicino a tutti! Se parlava con qualcuno, guardava i suoi occhi con una profonda attenzione piena d’amore: “Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò” (Mc 10, 21). Lo vediamo aperto all’incontro quando si avvicina al cieco lungo la strada (cfr Mc 10, 46-52) e quando mangia e beve con i peccatori (cfr Mc 2, 16), senza curarsi che lo trattino da mangione e beone (cfr Mt 11, 19). Lo vediamo disponibile quando lascia che una prostituta unga i suoi piedi (cfr Lc 7, 36-50) o quando riceve di notte Nicodemo (cfr Gv 3, 1-15). Il donarsi di Gesù sulla croce non è altro che il culmine di questo stile che ha contrassegnato tutta la sua esistenza. Affascinati da tale modello, vogliamo inserirci a fondo nella società, condividiamo la vita con tutti, ascoltiamo le loro preoccupazioni, collaboriamo materialmente e spiritualmente nelle loro necessità, ci rallegriamo con coloro che sono nella gioia, piangiamo con quelli che piangono e ci impegniamo nella costruzione di un mondo nuovo, gomito a gomito con gli altri. Ma non come un obbligo, non come un peso che ci esaurisce, ma come una scelta personale che ci riempie di gioia e ci conferisce identità (269).

A volte sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore. Ma Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri. Aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza. Quando lo facciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosamente e viviamo l’intensa esperienza di essere popolo, l’esperienza di appartenere a un popolo (270).

È vero che, nel nostro rapporto con il mondo, siamo invitati a dare ragione della nostra speranza, ma non come nemici che puntano il dito e condannano. Siamo molto chiaramente avvertiti: “sia fatto con dolcezza e rispetto” (1Pt 3, 16), e “se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti” (Rm 12, 18). Siamo anche esortati a cercare di vincere “il male con il bene” (Rm 12, 21), senza stancarci di “fare il bene” (Gal 6, 9) e senza pretendere di apparire superiori ma considerando “gli altri superiori a se stesso” (Fil 2, 3). Di fatto gli Apostoli del Signore godevano “il favore di tutto il popolo” (At 2, 47; cfr 4, 21.33; 5, 13). Resta chiaro che Gesù Cristo non ci vuole come principi che guardano in modo sprezzante, ma come uomini e donne del popolo. Questa non è l’opinione di un Papa né un’opzione pastorale tra altre possibili; sono indicazioni della Parola di Dio così chiare, dirette ed evidenti che non hanno bisogno di interpretazioni che toglierebbero ad esse forza interpellante. Viviamole “sine glossa”, senza commenti. In tal modo sperimenteremo la gioia missionaria di condividere la vita con il popolo fedele a Dio cercando di accendere il fuoco nel cuore del mondo (271)».

Scriveva il nostro Vescovo Lauro nella sua Lettera alla comunità La vita è bella, stimolandoci ad una presenza seria, qualificata e significativa di pace nel mondo e nella storia: «Torniamo a camminare sui sentieri ossigenanti della pace e della non-violenza. È l’unico modo per incontrare Dio, che si è fatto sentiero in Gesù Cristo, compagno dell’uomo con le sue domande e la sua capacità di ascolto. Per questo, l’esperienza cristiana sta sempre nel cammino, non nell’essere arrivati. Non-violento è colui che non emette sentenze definitive, ma lascia sempre aperta la possibilità al cambiamento. Lo fa perché ha sperimentato su di sé tolleranza e perdono. Chiedo con forza alle nostre comunità cristiane di essere modelli di non-violenza. Non è un termine appannaggio del mondo laico. Un bellissimo esempio ci viene da due testimoni della nostra comunità regionale, profeti di non-violenza, proclamati di recente “beati”: l’altoatesino Josef Mayr-Nusser e il trentino Mario Borzaga… Nella scelta non-violenta, Mayr-Nusser e padre Borzaga hanno agito con incredibile forza, decidendo in prima persona il loro destino, pur dovendo soccombere per volontà di altri. Hanno colto la bellezza della vita nell’amore della verità e del suo testimone più alto: Gesù di Nazareth, Figlio di Dio. La verità di un’esistenza che acquista valore nella misura in cui si percepisce come seme gettato nel solco della pace e dell’amore per i più poveri, come Josef e Mario hanno saputo essere. Un seme che non cresce per se stesso, ma germina solo nel terreno altrui». Questo significa essere presenti nel mondo e nella storia con senso di responsabilità e identità cristiana, ma anche con la nostra sana laicità. Da laici nel mondo e nella storia e non ai margini o fuori di essi; dentro il mondo e dentro la storia!

Nel mondo e nella storia noi ci siano stati e ci siamo; è bello ricordarlo e ripensarlo in questo periodo in cui ricordiamo i 150 anni della AC in Italia e i 120 anni della AC nella nostra Diocesi di Trento. Quanti uomini e donne, giovani e ragazzi/e hanno vissuto la loro appartenenza con fedeltà e generosità. Una presenza efficace che ha segnato la storia, che ha formato generazioni, che ha tracciato strade di solidarietà, che ha educato alla fede, che ha contribuito a una crescita democratica: tutto grazie a Dio e all’opera della sua grazia e del suo Santo Spirito. Non solo l’AC nazionale ma anche noi abbiamo i nostri “Santi” non riconosciuti dalla Chiesa, ma che certamente ora sono in Dio. Tutti loro sono rappresentati da quel Beato ufficiale che è Josef Mayr-Nusser.

Così egli diceva il 15 gennaio 1938 ai giovani di AC di Bolzano (allora diocesi di Trento!) parlando del nostro essere testimoni, cioè presenti nel mondo e nella storia: «Dare testimonianza è allo stesso tempo il no­stro compito e la nostra arma. Noi giovani cristia­ni siamo rinati dall’acqua e dallo Spirito Santo a nuova vita. Portiamo in noi la luce della verità, Cristo. Ma non portiamo questa luce timidamente per noi soli, abbiamo una missione nel mon­do. Se nel battesimo si è in noi accesa la luce, attraverso la cresima siamo diventati portatori di luce, incaricati di farla risplendere e di dare testi­monianza della luce. Non ci sbagliamo. Intorno a noi c’è il buio. Il buio della miscredenza, dell’in­differenza, del disprezzo, forse della persecuzione. Ciononostante dobbiamo dare testimonianza e superare questo buio con la luce di Cristo, anche se non ci ascoltano, anche se ci ignorano. Dare testimonianza oggi è la nostra unica ar­ma efficace. Né la spada, né la forza, né finanze, né capacità intellettuali, niente di tutto questo ci è posto come condizione imprescindibile per co­struire il regno di Cristo sulla terra. Il Signore ci chiede una cosa ben modesta e allo stesso tempo ben più importante: dare testimonianza. Forse, in un primo momento, neanche attraverso la parola, nemmeno attraverso l’azione. Spesso tacere può essere più indicato; spesso anche la migliore azio­ne può essere distorta. Ma sempre e dovunque dobbiamo essere testimoni, esserlo con semplicità e senza pretese. Noi giovani cristiani siamo testi­moni di Cristo solo se portiamo in noi la santità. Quando un uomo incontra Dio nella fede di un altro uomo, allora si accende la luce nell’anima buia, allora si riconosce Dio. L’uomo d’oggi può essere convinto da una cosa, non da libri, conferenze o prediche, ma solo dalla vita dei cristiani questo è l’unico libro al quale si crede oppure no. Quale forza emana un giovane che semplicemente vive in modo cristiano, che trae tutta la forza vitale dalla fonte della vita cristiana, dalla vita di Cristo. Tali cristiani sono i testimoni più efficaci, essi conquistano uomini per Dio».

Oggi, anche se siamo piccolo gregge, abbiamo ancora un ruolo e una missione da compiere, da portare avanti ognuno nel nostro piccolo angolo della storia e del mondo. Se non lo facciamo noi nessun altro lo farà al nostro posto! Noi ci siamo come presenza di Cristo! Ci siamo e sappiamo di far crescere il Regno di Dio nel mondo e nella storia. Riprendiamo così l’invito ad essere discepoli-missionari nel mondo e nella storia come diceva Papa Francesco, con le sue espressioni vivaci e colorate, parlando all’AC lo scorso 30 aprile 2017: «Avere una bella storia alle spalle non serve però per camminare con gli occhi all’indietro, non serve per guardarsi allo specchio, non serve per mettersi comodi in poltrona! Non dimenticare questo: non camminare con gli occhi all’indietro, farete uno schianto! Non guardarsi allo specchio! In tanti siamo brutti, meglio non guardarsi! E non mettersi comodi in poltrona, questo ingrassa e fa male al colesterolo! Fare memoria di un lungo itinerario di vita aiuta a rendersi consapevoli di essere popolo che cammina prendendosi cura di tutti, aiutando ognuno a crescere umanamente e nella fede, condividendo la misericordia con cui il Signore ci accarezza. Vi incoraggio a continuare ad essere un popolo di discepoli-missionari che vivono e testimoniano la gioia di sapere che il Signore ci ama di un amore infinito, e che insieme a lui amano profondamente la storia in cui abitiamo. Così ci hanno insegnato i grandi testimoni di santità che hanno tracciato la strada della vostra associazione… Azione Cattolica, vivi all’altezza della tua storia! Vivi all’altezza di queste donne e questi uomini che ti hanno preceduto».

E continuava il Papa facendo concreta la proposta e l’indicazione di cammino nel mondo e nella storia: «Cari soci di Azione Cattolica, ogni vostra iniziativa, ogni proposta, ogni cammino sia esperienza missionaria, destinata all’evangelizzazione, non all’autoconservazione. Il vostro appartenere alla diocesi e alla parrocchia si incarni lungo le strade delle città, dei quartieri e dei paesi. Come è accaduto in questi centocinquanta anni, sentite forte dentro di voi la responsabilità di gettare il seme buono del Vangelo nella vita del mondo, attraverso il servizio della carità, l’impegno politico, – mettetevi in politica, ma per favore nella grande politica, nella Politica con la maiuscola! – attraverso anche la passione educativa e la partecipazione al confronto culturale. Allargate il vostro cuore per allargare il cuore delle vostre parrocchie. Siate viandanti della fede, per incontrare tutti, accogliere tutti, ascoltare tutti, abbracciare tutti. Ogni vita è vita amata dal Signore, ogni volto ci mostra il volto di Cristo, specialmente quello del povero, di chi è ferito dalla vita e di chi si sente abbandonato, di chi fugge dalla morte e cerca riparo tra le nostre case, nelle nostre città. “Nessuno può sentirsi esonerato dalla preoccupazione per i poveri e per la giustizia sociale” (EG 201)».

Partendo da EG il catecheta Biemmi, declinando l’idea di presenza con quella di fedeltà a Dio e all’uomo, ci ricorda che «dall’affermazione centrale del Simbolo: “per noi e per la nostra salvezza”, l’approccio pastorale alla fede, che implica l’assunzione della storia e della vita in tutta la sua complessità, salva la dottrina, le impedisce di diventare una ideologia, le conferisce il suo senso salvifico profondo. EG assumendo fino in fondo la pastoralità restituisce a Dio il nome con il quale si è rivelato, il misericordioso. In questo modo riapre la comprensione della dottrina cristiana. Restituisce vita a Dio e carne tenera alla dottrina della Chiesa. E pone così le premesse per una Chiesa che non separi più ciò che Dio ha unito: dogma e storia, dottrina e vita, vangelo e esperienza umana. Con un’espressione cara alla catechesi: fedeltà a Dio e all’uomo. Dobbiamo quindi riconoscere che le obiezioni di chi dice che Papa Francesco tocca la dottrina sono legittime. Egli interviene sull’interpretazione autorevole della dottrina, facendo quello che ha più volte detto, e ultimamente richiamato ai vescovi italiani: “La dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, sa animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo” (Papa Francesco al Convegno ecclesiale Nazionale di Firenze, 10.11.2015). Ricongiungendo dogma e storia, contenuto e forma, kerigma e linguaggio Papa Francesco… non divide più ciò che Dio nel suo Figlio incarnato ha definitivamente unito».

Ancora Papa Francesco, parlando ai partecipanti al congresso del Forum Internazionale dell’AC (FIAC) il 27.04.2017, descriveva i modi di presenza dei laici di AC nel mondo e nella storia, diceva: «È necessario che l’Azione Cattolica sia presente nel mondo politico, imprenditoriale, professionale, ma non perché ci si creda cristiani perfetti e formati, ma per servire meglio. È indispensabile che l’Azione Cattolica sia presente nelle carceri, negli ospedali, nelle strade, nelle baraccopoli, nelle fabbriche. Se così non sarà, sarà un’istituzione di esclusivisti che non dicono nulla a nessuno, neppure alla stessa Chiesa. Voglio un’Azione Cattolica tra la gente, nella parrocchia, nella diocesi, nel paese, nel quartiere, nella famiglia, nello studio e nel lavoro, nella campagna, negli ambiti propri della vita. È in questi nuovi areopaghi che si prendono decisioni e si costruisce la cultura. Non siate dogane. Non potete essere più restrittivi della stessa Chiesa né più papisti del Papa. Aprite le porte, non fate esami di perfezione cristiana perché così facendo promuoverete un fariseismo ipocrita. C’è bisogno di misericordia attiva. L’impegno che assumono i laici che aderiscono all’Azione Cattolica guarda avanti. È la decisione di lavorare per la costruzione del regno. Non bisogna “burocratizzare” questa grazia particolare perché l’invito del Signore viene quando meno ce lo aspettiamo; non possiamo neppure “sacramentalizzare” l’ufficializzazione con requisiti che rispondono a un altro ambito della vita della fede e non a quello dell’impegno evangelizzatore. Tutti hanno diritto a essere evangelizzatori. Che l’Azione Cattolica offra lo spazio di accoglienza e di esperienza cristiana a quanti, per motivi personali, si sentono “cristiani di second’ordine”».

L’incarnazione del Figlio di Dio, un Dio nel mondo e nella storia, non ci lasci alibi per il nostro stile di vita e per le nostre scelte: “L’incarnazione di Gesù è per il laici di AC il punto di riferimento per capire la loro vocazione, soprattutto per orientare il loro atteggiamento di fronte al mondo” (Progetto formativo, p. 47). La nostra fede è un incontro con una persona, con Gesù Cristo. Se lo abbiamo incontrato non possiamo tenerlo solo per noi. Dalla fede, ci ha ricordato Papa Francesco scaturisce la misericordia, un cuore grande, aperto a Dio, ma anche ad ogni persona umana nel suo mondo e nella sua storia.

Così traduceva la nostra presenza di cristiani oggi nel mondo già l’inizio del testo della Costituzione del Concilio Vaticano II Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti. Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia… Il mondo che ha presente è perciò quello degli uomini, ossia l’intera famiglia umana nel contesto di tutte quelle realtà entro le quali essa vive; il mondo che è teatro della storia del genere umano, e reca i segni degli sforzi dell’uomo, delle sue sconfitte e delle sue vittorie; il mondo che i cristiani credono creato e conservato in esistenza dall’amore del Creatore: esso è caduto, certo, sotto la schiavitù del peccato, ma il Cristo, con la croce e la risurrezione ha spezzato il potere del Maligno e l’ha liberato e destinato, secondo il proposito divino, a trasformarsi e a giungere al suo compimento».

Nel suo Messaggio per questa Quaresima 2018 Papa Francesco alza e allarga lo sguardo e scrive: «Vorrei che la mia voce giungesse al di là dei confini della Chiesa Cattolica, per raggiungere tutti voi, uomini e donne di buona volontà, aperti all’ascolto di Dio. Se come noi siete afflitti dal dilagare dell’iniquità nel mondo, se vi preoccupa il gelo che paralizza i cuori e le azioni, se vedete venire meno il senso di comune umanità, unitevi a noi per invocare insieme Dio, per digiunare insieme e insieme a noi donare quanto potete per aiutare i fratelli!». Un invito chiaro e forte ad essere, anche nel nostro piccolo e povero ambito, presenti nel mondo e nella storia.

don Giulio Viviani